L’approccio che prevede un intervento con più figure professionali che operano con un metodo integrato nella direzione di una risposta ai bisogni “differenziati” del paziente, il modello del piccolo gruppo integrato, prevede interventi: psicoterapeutici, farmacologici, assistenziali. Nell’elaborazione, di Zapparoli, attualmente molto diffusa nelle istituzioni italiane, la proposta è quella riconducibile ad un modello da intendere come semplice sommatoria di interventi giustapposti, ma piuttosto come un processo dinamico di integrazione emotivo-cognitiva di funzioni intrapsichiche e relazionali che rispondono allo stato dei bisogni del paziente e della sua famiglia, valutati dopo un’attenta osservazione diagnostica. Il modello può essere utilizzato sia all’interno di un’istituzione pubblica, che in un contesto privato: in questo caso uno psicoterapeuta o uno psichiatra che ricevono la richiesta direttamente dal paziente o dai suoi familiari, si avvalgono di un infermiere, un educatore o un assistente sociale per costituire un piccolo gruppo che elabora un progetto terapeutico individualizzato.[1] L’organizzazione con più figure professionali scaturisce da un lato dalla necessità di diluire l’intensità del transfert psicotico su più persone, dall’altro dall’esigenza di superare la concezione del terapeuta onnisciente e supposto sapere, che da solo non è in grado di assolvere alla complessità delle esigenze del minore psicotico[2]. Si parte quindi sottolineando la necessità di garantire al minore psicopatologicamente compromesso la possibilità di ricevere a più livelli, stimoli in direzione integrativa proprio per contrastare la tendenza disgregante con cui si manifesta la peculiare resistenza al cambiamento della struttura psicotica[3].