Riprendendo il post di ieri: il desiderio è il desiderio di niente. È desiderio morto.
L’analista è colui che vive in questa morte, in questo svuotamento, in questo vuoto, è colui che ha agganciato il suo desiderio svuotandolo del suo oggetto pulsionale. Quando più il soggetto misconosce la domanda di riconoscimento che è veicolata dai suoi significanti, quando più il soggetto è preso nell’inganno del “cogito ergo…” e riconosce la domanda di riconoscimento veicolata dai suoi significanti, quando è parlato, non parla con la propria voce. È lì, proprio lì che si pietrifica nel sintomo.
In questa altra scena compare una figura. Al centro di questa scena compare una figura davanti alla quale anche Freud ha dovuto chinare il capo. Nell’altra scena Freud trova la figura di un Padre primordiale, una figura delle origini, questa figura qui è definita dell’ordine della testimonianza. È una figura che non viene dal sapere. È una figura che ha a che fare con la credenza. È la testimonianza che si ricollega alla credenza e non al sapere. È un termine che non è un prodotto di sapere. È qualcosa che si incontra, che va al di là del sapere o delle nostre scelte. È la figura a partire della quale fioriscono i significanti nella storia del piccolo Hans. A partire da quel significanti si declinano, fioriscono gli altri “tot” significanti, che per ognuno di noi sono limitati. Anche a livello individuale, la soluzione dell’impossibile, dall’esaurimento di tutte queste combinazione dei significanti, di ognuno di noi, che arriva la soluzione dell’impossibile. L’esaurimento di tutte le combinazioni possibili porta alla soluzione dell’impossibile.