Il linguaggio azionale di Condillac (3/40)

Come si impara il significato dei nomi che diamo alle sensazioni, ai nostri stati somatici?[i] Una sensazione precede il suo nome, per chi non lo conosce già, ovvero, il nome viene trasmesso da chi lo conosce. Questo implica che la sensazione vissuta, originariamente non abbia un nome, o comunque, non lo ha ancora.

Ma da un certo punto in poi si, ha un nome.

La sensazione non è un messaggio, non ha valore di comunicazione, non ha destinatari o comunque «non ha trovato il tempo, almeno non ancora, per cercarsi uno o più destinatari»[ii].

Chi grida esprime dolore ma non comunica niente a nessuno. Diverso sarebbe dire “ho dolore”, che lascia indurre che vuole comunicare, rendere noto, il suo dolore a qualcuno.

Quindi, una sensazione, quando si manifesta non si indirizza ad un destinatario, non ha un nome, è fuori linguaggio. Poi, in una seconda fase, la sensazione assume valore di comunicazione, cioè, esprime l’intenzione di dire qualcosa (es. sento dolore, sono giù, triste, depresso).

Per Condillac ci sono comportamenti umani non iscritti nella logica del senso, cioè chi li compie e mentre li compie, non è iscritto nel linguaggio. Agisce senza sapere, soddisfa bisogni naturali, originari, nel senso di riconducibili alle primitive sensazioni corporee. È, come ricorda Martone, la scena «dell’istinto, di quel movimento inconsapevole di sé che, pur lasciando tracce della sua traiettoria, neppure di questo sa, di averle appunto lasciate»[iii]. Questo “linguaggio” istintivo non ha nessuna funzione comunicativa né espressiva: è il linguaggio d’azione. Non c’è intenzione di comunicare alcunché o di farsi capire, tuttavia, il parlare sarà progettato, cioè intenzionalmente praticato per farsi capire.

Da una condizione iniziale che potremmo definire intemporale, una condizione in cui il sentire è simultaneo, si passa ad una condizione temporalizzata, fatta di scansioni, sequenze. Inizialmente alcuni movimenti emergono catturando la nostra attenzione, poi a questi si aggiungono altri movimenti di contorno ed in fine altri ancora che fungono da sfondo. Questa scansione rende intellegibile la simultaneità che inizialmente si presenta in modo confusivo. L’abitudine nell’osservare i movimenti, l’uno dopo l’altro, rende meno confuso il nostro vedere. Cioè dalla simultaneità si passa all’analisi che la scompone. È l’azione dello scomporre il flusso di ciò che è sentito attraverso ciò che è visto, in scene, scansioni temporali, che si susseguono. Inizialmente alcuni movimenti emergono catturando la nostra attenzione, poi a questi si aggiungono altri movimenti di contorno ed in fine altri ancora che fungono da sfondo. Questa scansione rende intellegibile la simultaneità che inizialmente si presenta in modo confusivo. L’abitudine nell’osservare i movimenti, l’uno dopo l’altro, rende meno confuso il nostro vedere. Cioè dalla simultaneità, appunto, si passa all’analisi che la scompone, cioè l’azione dello scomporre il flusso di ciò che è sentito attraverso ciò che è visto, in scene, scansioni temporali, che si susseguono.

Quindi da un tempo zero, dove la significazione è nulla, dove manca ogni intenzione comunicativa si passa ad una scansione temporale. Il linguaggio d’azione di Condillac si gioca nella intemporalità simultanea. Il linguaggio d’azione è inintezionale e istintivo e non comunicativo

Potremmo parlare di una sorta di presente azionale, dove il sistema sensorio del corpo agisce senza l’intenzionalità. «[…]il tremore muscolare, la traspirazione cutanea, la domificazione delle secrezioni del canale alimentare e delle ghiandole, sotto lo stimolo di emozioni e sensazioni diverse»[iv].

Come è noto, Husserl sosteneva che la coscienza è sempre coscienza di qualcosa e ciò implica una distinzione tra il pensare (noesi) e l’oggetto intenzionale del pensiero (noema). Merleau-Ponty ha mostrato tuttavia che ci sono fenomeni che vanno al di là dello schema noesi-noema: le autopercezioni corporali, la percezione del tempo che è sempre soggettiva e la percezione dell’altro. Merleau-Ponty sostituisce l’assunto “ogni coscienza è coscienza di qualche cosa” con “ogni coscienza è coscienza percettiva”. Dove la percezione è qualcosa di diverso dal semplice precipitato, risultante dall’assembramento di sensazioni semplici. Per Merleau-Ponty il corpo non è semplicemente una cosa, ma è l’apertura percettiva al mondo. Quindi egli sottolinea la corporeità della coscienza e l’intenzionalità del corpo. Ciò ribalta radicalmente il dualismo corpo-spirito di Cartesio, scrive Merleau-Ponty: «La distinzione tanto frequente di psichico e somatico trova luogo in patologia, ma non può servire alla conoscenza dell’uomo normale, cioè dell’uomo integrato, perché per esso i processi somatici non si svolgono isolatamente ma sono inseriti in un raggio di azione più ampio»[v].


[i] “[…] come impara un uomo il significato dei nomi delle sensazioni? Per esempio della parola ‘dolore’? Ecco qui una possibilità: si collegano certe parole con l’espressione originaria, naturale della sensazione, e si sostituiscono ad essa. Un bambino si è fatto male e grida; gli adulti gli parlano e gli insegnano esclamazioni e, più tardi, proposizioni. Insegnano al bambino un nuovo comportamento del dolore. ‘Tu dunque dici che la parola ‘dolore’ significa propriamente quel gridare?’ — Al contrario, l’espressione verbale del dolore sostituisce non descrive il grido” Wittgenstein L., Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino, 1999, pp. 118-19.

[ii] Martone A., Mettere (in) bocca Sei studi semiolinguistici, Edizioni ETS,  Pisa, p. 105.

[iii] Martore A., Mettere (in) bocca – Sei studi semiolinguistici, Edizioni ETS, Pisa, 2013, p.114.

[iv] Darwin C., L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali [1972], 2006, Roman, N. Compton, p. 60.

[v] Merleau-Ponty M., La struttura del comportamento, Bompiani, Milano 1963, p.292.