L’identificazione virile di Marco con il padre deriva dall’amore per lui e per il ruolo che egli ha ricoperto come “normalizzatore” del suo desiderio. Ciò è possibile solo se dal lato del Nome-del-Padre è tutto in ordine, ciò è possibile se il “buon padre” è “un personaggio zoppicante”. La funzione del padre è quella di essere un mito, il Nome-del-Padre, ossia nient’altro che il padre morto, come Freud ci spiegava in Totem e tabú. Ma, dice Lacan, “beninteso, perché ciò sia pienamente sviluppato, bisogna che l’avventura umana, perlomeno per accenni, venga spinta fino al suo termine, ossia che venga esplorata la zona in cui Edipo avanza dopo essersi strappato gli occhi”[1]. Freud riconosce la sua scoperta e il suo ambito di ricerca nella tragedia di Edipo, non tanto perché Edipo ha ucciso il padre o perché desidera giacere con la madre. Lacan, nel Seminario VII ricorda uno studioso di miti, un certo Robert Graves, che definisce molto divertente perché “[…] crede di poter fare lo spiritoso sul mito di Edipo. Perché Freud, si chiede, non va a cercare il suo mito presso gli Egizi dove l’ippopotamo è famoso perché si congiunge con la madre e schiaccia il padre? Perché non lo ha chiamato il complesso dell’ippopotamo? E crede, così, di aver assestato una bella stoccata alla frottola della mitologia freudiana. Ma Freud non ha scelto Edipo per questo motivo. Ben altri eroi che Edipo sono il luogo di questa combinazione basilare. Il motivo per cui Freud ritrova la sua figura fondamentale nella tragedia di Edipo sta nell’egli non sapeva di avere ucciso il padre e di giacere con la madre.”[2] Il figlio non solo non sa che il padre è stato ucciso per mano sua, ma non sa neppure che il padre fosse morto.
[1] Jacques Lacan, Il seminario, Libro VII, L’etica della psicoanalisi (1959 – 1960), Enaudi, Torino, 1994, pp.357 – 358 (lez. XXIII, tenuta il 29 giugno 1960).
[2] Jacques Lacan, Il seminario, Libro VIII, Il transfert (1960 – 1961), Einaudi, Torino 2008, p. 111.