Lacan critica lo schema classico dell’Edipo nei casi di nevrosi dove si manifesta quella “insolubilità della situazione vitale”[1] che si configura a partire dal “desiderio incestuoso per la madre, l’interdizione del padre, gli effetti di ostruzione che ne derivano e tutt’intorno, la proliferazione più o meno lussureggiante dei sintomi”[2]. Egli propone una vera e propria ridefinizione dell’antropologia di matrice psicoanalitica. Propone cioè un sistema quaternario che considera fondamentale nelle impasses.
Ovviamente Lacan non contesta, anzi ribadisce con forza, l’importanza di quella funzione che il padre si trova a rappresentare, incarnando quella funzione simbolica, in grado di condensare ciò che c’è di più essenziale nelle altre strutture culturali: “vale a dire i godimenti quieti e tranquilli, o meglio simbolici, culturalmente determinati e fondati, dell’amore della madre”[3]. La funzione paterna presupporrebbe in qualche modo un simbolico in grado di coprire pienamente il reale, ma in realtà ci vorrebbe un padre che non fosse solo il Nome-del-Padre, ma che fosse in grado di rappresentare il valore simbolico cristallizzato nella sua funzione. Ma, evidenzia Lacan, questo “ricoprimento del simbolico” risulta incomprensibile, quanto meno in una struttura sociale come la nostra. Il padre è sempre un padre discordante, carente rispetto alla sua funzione. “C’è sempre una discordanza estremamente netta tra ciò che è percepito dal soggetto sul piano del reale e la funzione simbolica”.[4] Ed è proprio nelle maglie di questa discordanza che si annida il valore sintomatico del complesso di Edipo. Fin qui è Freud.
Ma allora, come spiegare l’ipotesi della “struttura quaternaria”? A partire dalla “relazione narcisistica”, risponde Lacan. “Relazione che è la seconda grande scoperta della psicoanalisi, non meno importante della funzione simbolica dell’Edipo”[5]. Essa risulta essere determinante nello sviluppo del registro immaginario, è decisiva nella costituzione del soggetto. Infatti l’io è qualcosa che il soggetto sperimenta inizialmente come estraneo a sé ma tuttavia all’interno di sé. Il soggetto originariamente si vede in un altro, idealmente più evoluto e più perfetto. Vede la propria immagine nello specchio come un tutto, quando però non è ancora tale, ovvero quando si trova immerso in quella originaria confusione affettiva dei primi mesi di vita. Il soggetto vive così sempre in una costitutiva insufficienza in quanto sempre lanciato verso una relazione di anticipazione rispetto alla propria realizzazione. Ciò apre in lui una lacerazione originaria, una condizione fondamentalmente inautentica, all’insegna di quella estraneazione a partire dalla quale l’uomo crede di realizzare la propria apertura al mondo e agli altri.
Per questo, dice Lacan, “in tutte le sue relazioni immaginarie si manifesta l’esperienza della morte. Esperienza che è senza dubbio costitutiva di ogni manifestazione della condizione umana, ma che appare in modo del tutto particolare nel vissuto del nevrotico”[6].
Il padre immaginario e quello simbolico sono generalmente distinti. Nel caso del nevrotico, è frequente che il personaggio del padre sia “sdoppiato”, dice Lacan: “di solito, come vi ho indicato, si tratta di un amico, come nell’uomo dei topi“[7]. Un “amico” che ricopre un ruolo fondamentale nel mito familiare. Ed è qui che Lacan introduce il quarto elemento: la morte. Un elemento di mediazione. “Prima che la teoria freudiana abbia messo l’accento, con l’esistenza del padre, su una funzione che è contemporaneamente funzione, di parola e funzione d’amore, la metafisica hegeliana non ha esitato a costruire tutta la fenomenologia dei rapporti umani intorno alla mediazione della morte. Terzo elemento essenziale del progresso attraverso cui l’uomo si umanizza nella relazione con il suo simile. E si potrebbe dire che la teoria del narcisismo […] elucida certi fatti che restano enigmatici in Hegel. Dopo tutto, perché la dialettica della lotta a morte, della lotta del puro prestigio, possa anche solo avviarsi bisogna che la morte non sia ancora realizzata, poiché il movimento dialettico s’arresterebbe per mancanza di combattenti; bisogna quindi che la morte sia solo immaginata. In effetti è proprio della morte, immaginata, immaginaria, che si tratta nella relazione narcisistica. È ancora la morte immaginaria e immaginata che si introduce nella dialettica del dramma edipico, ed è di essa che si tratta nella formazione del nevrotico – e forse, fino a un certo punto, in qualcosa che va molto al di là della formazione del nevrotico, e cioè l’atteggiamento esistenziale caratteristico dell’uomo moderno”[8].
[1] J. Lacan, Il mito individuale del nevrotico, Astrolabio Ubaldini, 1986, Roma, 26.
[2] Ibidem.
[3] J. Lacan, Il mito individuale del nevrotico, op. cit., p.27.
[4] Ibidem.
[5] Ibidem.
[6] J. Lacan, Il mito individuale del nevrotico, op. cit., p. 28.
[7] Ibidem.
[8] J. Lacan, Il mito individuale del nevrotico, op. cit., pp. 28-29.