Fonte: Platone, Opere, vol. II, Laterza, Bari, 1967, pagg. 334-337. Repubblica, 509d-511e
1 [509 d] – Ebbene, ripresi, immagina che, come stiamo dicendo, siano essi due princípi, e che reggano uno il genere e il mondo intelligibile, l’altro quello visibile. Mi esprimo cosí perché dicendo “mondo celeste” non ti día l’impressione di sofisticare sul nome. ti rendi conto di queste due specie, visibile e intelligibile? – Me ne rendo conto. – Supponi ora di prendere una linea bisecata in segmenti ineguali e, mantenendo costante il rapporto, dividi a sua volta ciascuno dei due segmenti, quello che rappresenta il genere visibile e quello che rappresenta il genere intelligibile; e, secondo la rispettiva chiarezza e oscurità, tu avrai, [e] nel mondo visibile, un primo segmento, le immagini. Intendo per immagini in primo luogo le ombre, poi i [510 a] riflessi nell’acqua e in tutti gli oggetti formati da materia compatta, liscia e lucida, e ogni fenomeno simile, se comprendi. – Certo che comprendo. – Considera ora il secondo, cui il primo somiglia: gli animali che ci circondano, ogni sorta di piante e tutti gli oggetti artificiali. – Lo considero, rispose. – Non vorrai ammettere, feci io, che il genere visibile è diviso secondo verità, ossia che l’oggetto simile sta al suo modello come l’opinabile [b] sta al conoscibile? – Io sí, disse, certamente. – Esamina poi anche in quale maniera si deve dividere la sezione dell’intelligibile. – Come? – Ecco: l’anima è costretta a cercarne la prima parte ricorrendo, come a immagini, a quelle che nel caso precedente erano le cose imitate; e partendo da ipotesi, procedendo non verso un principio, ma verso una conclusione. Quanto alla seconda parte, quella che mette capo a un principio non ipotetico, è costretta a cercarla movendo dall’ipotesi e conducendo questa sua ricerca senza le immagini cui ricorreva in quell’altro caso, con le sole idee e per mezzo loro. – Non ho ben compreso, rispose, queste tue parole. – Ebbene, [c] ripresi, torniamoci sopra: comprenderai piú facilmente quando si sarà fatta questa premessa. Tu sai, credo, che coloro che si occupano di geometria, di calcoli e di simili studi, ammettono in via d’ipotesi il pari e il dispari, le figure, tre specie di angoli e altre cose analoghe a queste, secondo il loro particolare campo d’indagine; e, come se ne avessero piena coscienza, le riducono a ipotesi e pensano che non meriti piú renderne conto né a se stessi né ad [d] altri, come cose a ognuno evidenti. E partendo da queste, eccoli svolgere i restanti punti dell’argomentazione e finire, in piena coerenza, a quel risultato che si erano mossi a cercare. – Senza dubbio, rispose, questo lo so bene. – E quindi sai pure che essi si servono e discorrono di figure visibili, ma non pensando a queste, sí invece a quelle di cui queste sono copia: discorrono del quadrato in sé e della diagonale in sé, ma non di quella che tracciano, e [e] cosí via; e di quelle stesse figure che modellano e tracciano, figure che danno luogo a ombre e riflessi in acqua, si servono a loro volta come di immagini, per cercar di [511 a] vedere quelle cose in sé che non si possono vedere se non con il pensiero, dianoeticamente. – È vero quello che dici, rispose.
2 – Ecco dunque che cosa intendevo per specie intelligibile, e dicevo che, ricercandola, l’anima è costretta a ricorrere a ipotesi, senza arrivare al principio, perché non può trascendere le ipotesi; essa si serve, come d’immagini, di quegli oggetti stessi di cui quelli della classe inferiore sono copie e che in confronto a questi ultimi sono ritenuti e stimati evidenti realtà. – Comprendo, disse, che ti [b] riferisci al mondo della geometria e delle arti che le sono sorelle. – Allora comprendi che per secondo segmento dell’intelligibile io intendo quello cui il discorso attinge con il potere dialettico, considerando le ipotesi non princípi, ma ipotesi nel senso reale della parola, punti di appoggio e di slancio per arrivare a ciò che è immune da ipotesi, al principio del tutto; e, dopo averlo raggiunto, ripiegare attenendosi rigorosamente alle conseguenze che ne derivano, e cosí discendere alla conclusione senza [c] assolutamente ricorrere a niente di sensibile, ma alle sole idee, mediante le idee passando alle idee; e nelle idee termina tutto il processo. – Comprendo, rispose, ma non abbastanza. Mi sembra che tu parli di una operazione complessa. Comprendo però il tuo desiderio di precisare che quella parte dell’essere e dell’intelligibile che è contemplata dalla scienza dialettica è piú chiara di quella contemplata dalle cosiddette arti, per le quali le ipotesi sono princípi; e coloro che osservano gli oggetti delle arti sono costretti, sí, a osservarli con il pensiero senza ricorrere ai sensi, ma [d] poiché li esaminano senza risalire al principio, bensí per via d’ipotesi, a te sembrano incapaci d’intenderli, anche se questi oggetti sono intelligibili con un principio. E, a mio avviso, tu chiami pensiero dianoetico, ma non intelletto, la condizione degli studiosi di geometria e di simili dotti, come se il pensiero dianoetico venisse a essere qualcosa di intermedio tra l’opinione e l’intelletto. – Hai capito benissimo, feci io. Ora applicami ai quattro segmenti questi quattro processi che si svolgono nell’anima: applica [e] l’intellezione al piú alto, il pensiero dianoetico al secondo, al terzo assegna la credenza e all’ultimo l’immaginazione; e ordinali proporzionalmente, ritenendo che essi abbiano tanta chiarezza quanta è la verità posseduta dai loro rispettivi oggetti. – Comprendo, rispose, sono d’accordo e li ordino come dici.