Fonte: M. Heidegger, I sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze, 1968, pagg. 244-246
La metafisica è un’epoca [Epoche] della storia dell’essere stesso. Ma nella sua essenza essa è nichilismo: L’essenza del nichilismo fa parte della storia secondo cui l’essere stesso è [west ]. Se il nulla, come sempre, rinvia all’essere, la determinazione storico-ontologica del nichilismo avrebbe maggiore probabilità di indicare almeno la regione entro cui l’essenza del nichilismo si rende riconoscibile e quindi pensabile come qualcosa di concernente la nostra capacità rimemorativa. Noi siamo abituati a sentire nella parola “nichilismo” prima di tutto una nota negativa. Ma se teniamo presente l’essenza storico-ontologica del nichilismo, la semplice audizione di questa nota ci pone già in imbarazzo. Il termine nichilismo significa che in ciò che esso sta a designare il nihil è presente come qualcosa di essenziale. Nichilismo significa: di ogni cosa e per ogni riguardo, è nulla. “Ogni cosa” significa l’ente nella sua totalità. “Per ogni riguardo” presuppone che l’ente sia compreso in quanto ente. Nichilismo significa allora che dell’ente in quanto tale nel suo insieme ne è nulla. Ma l’ente è ciò che è e come è in base all’essere. Poiché dunque ogni “è” [ist] risiede nell’essere ne viene che l’essenza del nichilismo consiste nel fatto che dell’essere stesso ne è nulla. L’essere stesso è l’essere nella sua verità, verità che appartiene all’essere.
Se udiamo nel termine nichilismo l’altra nota, quella in cui risuona l’essenza di ciò che fu detto, udremo allora qualcosa di diverso anche nelle affermazioni del pensiero metafisico che ha scoperto qualcosa del nichilismo, senza tuttavia poterne pensare l’essenza. Consapevoli di quest’altra nota, forse un giorno considereremo l’epoca dell’incipiente compimento del nichilismo in modo diverso da finora. Forse riconosceremo allora che né le prospettive politiche, né le economiche, né le tecniche, né le scientifiche, e neppure le metafisiche e le religiose, sono adeguate al pensamento di ciò che si storicizza in questo momento storico. Ciò che esso propone al pensiero perché lo pensi non è un senso nascosto nel profondo delle cose, ma qualcosa di vicino: è il piú vicino di tutto, ciò che, appunto perché piú vicino, noi trascuriamo costantemente. Con questa trascuranza noi compiamo, sempre nuovamente e senza rendercene conto, l’uccisione dell’essere dell’ente.
Per rendercene conto e imparare a rendercene conto, può già bastare la meditazione di ciò che l’uomo pazzo dice della morte di Dio e del modo in cui lo dice. Forse allora non trascureremo sconsideratamente il fatto che, all’inizio del passo preso in esame, l’uomo pazzo grida a perdifiato: “Cerco Dio! Cerco Dio!” Che significa che quest’uomo è pazzo? Esso è fuori del normale. Esso è infatti fuori del piano dell’uomo di prima, fuori del piano sul quale gli ideali del mondo sovrasensibile, divenuti irreali, vengono spacciati per reali, mentre si realizza il loro opposto. Quest’uomo è fuori del comune perché é al di là dell’uomo di prima. Tuttavia esso non ha fatto altro che immedesimarsi compiutamente dentro la predeterminata essenza dell’uomo di prima: essere l’animal rationale. Perciò quest’uomo fuori del comune non ha niente a che fare con quel genere di fannulloni pubblici che lo circondano e che “non credono in Dio”. Essi infatti non sono non-credenti perché Dio, in quanto Dio, è per loro divenuto non credibile, ma perché essi stessi hanno distrutto la possibilità di credere, in quanto non sono piú in grado di cercare Dio. Non sono piú in grado di cercare perché non pensano piú. I fannulloni pubblici che attorniano l’uomo pazzo, hanno smesso di pensare, sostituendo al pensiero la chiacchiera che fiuta nichilismo ovunque ritiene che siano in pericolo le proprie opinioni. Questo autoaccecamento crescente di fronte al nichilismo autentico cerca cosí di stornare la propria angoscia davanti al pensiero. Ma questa angoscia non è che l’angoscia dinanzi all’angoscia.
L’uomo pazzo, invece, – come risulta chiaramente dalla prima parte del passo, e, piú chiaramente ancora, per chi ha orecchie per intendere, dall’ultima parte – è colui che cerca Dio invocandolo ad alta voce. Un pensatore ha forse qui realmente invocato de profundis? E hanno udito le orecchie del nostro pensiero? O continuano ancora a non udire il grido? Il grido continuerà a non essere udito fin che non si incomincerà a pensare. Ma il pensiero incomincerà solo quando ci si renderà conto che la ragione glorificata da secoli è la piú accanita nemica del pensiero.