J. Lacan, Il Seminario. Libro I. Gli scritti tecnici di Freud. Cap. VI e VII
[82] Anna freud ha cominciato a interpretare la relazione analitica secondo il prototipo della relazione duale, la relazione del soggetto con sua madre. Si era subito trovata in una posizione non solo inconcludente ma perfettamente sterile. Che cos’è quel che chiama aver analizzato la difesa contro gli affetti?
[…] L’ansia non è una specie d’energia, che il soggetto dovrebbe ripartire per costituire gli oggetti; non vi è nel testo di Melanie Klein neppure un giro di frase che vada in questo senso. L’ansia è sempre definita come emergente, arising. A ciascun rapporto oggettuale corrisponde una modalità d’identificazione di cui l’ansia è il segnale. Le identificazioni di cui stiamo trattando precedendo l’identificazione egoica. Ma anche quando quest’ultima sarà fatta, ogni nuova ri-identificazione del soggetto farà emergere l’ansia, l’ansia nel senso di tentazione, vertigine, perdita del soggetto, che si ritrova a livelli estremamente primitivi. L’ansia è una connotazione, un segnale, come Freud ha sempre assai bene formulato, una qualità, una colorazione soggettiva.
[…] Normalmente il soggetto dà agli oggetti della sua identificazione primitiva una serie di equivalenti immaginari, che demoltiplicano il suo mondo, abbozza delle identificazioni con certi oggetti, le ritira, ne rifà con altri ecc. egli volta l’ansia arresta l’identificazione definitiva, la fissazione della realtà. Ma questo andirivieni darà il proprio quadro a quel reale infinitamente più complesso che è il reale umano. Dopo questo stadio durante il quale i fantasmi sono simbolizzati viene lo stadio detto genitale in cui la realtà, solo allora, è fissata.
[101-102] […] Il mondo del bambino, dice Melanie Klein, si produce a partire da un contenente – sarebbe il corpo della madre – e da un contenuto del corpo di questa madre. Durante lo sviluppo delle sue relazioni istintuali con quell’oggetto privilegiato che è la madre, il bambino è condotto a procedere a una serie di relazioni d’incorporazioni immaginarie. Può mordere, assorbire il corpo di sua madre, lo stile di questa incorporazione è uno stile di distruzione. Nel corpo materno il bambino si aspetta di ritrovare un certo numero d’oggetti, dotati essi stessi di una certa unità, benché siano inclusi, oggetti che possono essere pericolosi per lui. Perché pericolosi? Per lo stesso identico motivo per cui egli è pericoloso per loro. Come in uno specchio, è proprio il caso di dirlo, li riveste delle stesse capacità distruttive di cui riconosce portatore se stesso. A questo titolo accentuerà la loro esteriorità in rapporto alle prime limitazioni del suo io e li rifiuterà come oggetti cattivi, pericolosi, cacca. Quegli oggetti saranno certamente esteriorizzati, isolati, da quel primo contenente universale, da quel primo grande tutto che è l’immagine fantasmatica del corpo della madre, impero totale della primitiva realtà infantile. Tuttavia gli appariranno sempre provvisti dello stesso accento malefico, che ha segnato le sue prime relazioni con essi. Per questo motivo li reintroietterà e porterà il suo interesse verso altri oggetti meno pericolosi. Farà, per esempio, quella che si chiama l’equazione feci-urina. Oggetti differenti del mondo esterno, più neutrali, saranno posti come equivalenti ai primi, saranno legati a loro da un’equazione – lo sottolineo – immaginaria. Pertanto l’equazione simbolica, che riscopriamo tra questi oggetti, emerge da un meccanismo alternativo d’espulsione e introiezione, di proiezione e assorbimento, cioè da un gioco immaginario.
[103] […] L’introiezione è sempre l’introiezione della parola dell’altro e ciò introduce una dimensione completamente differente da quella della proiezione. Attorno a questa distinzione potete ripartire la funzione del super-io. Non per nulla nella teoria analitica li si distingue e si ammette che il Super-io, il Super-io autentico, sia un’introiezione secondaria in rapporto alla funzione dell’io ideale. Sono osservazioni collaterali, ritorno al caso descritto da Melanie Klein