Il giudizio è il risultato dell’unione mediante copula di un soggetto con un predicato. Se il predicato appartiene al soggetto come qualcosa che lo contiene, cioè il concetto espresso dal predicato resta già incluso nel concetto, allora abbiamo quello che Kant chiama giudizio analitico a priori, quando invece non è contenuto dal soggetto, anche se è connesso con esso, abbiamo il giudizio sintetico a posteriore. Il primo si caratterizza per la connessione predicato-soggetto fondata sull’identità, il secondo per la connessione predicato-soggetto senza identità.
I giudizi analitici a priori non derivano dall’esperienza e le informazioni provenienti dal predicato non aggiungono niente al soggetto, l’esempio che fa Kant nella Critica della ragion pura è: «I corpi sono estesi», dove si vede bene che il predicato “esteso” è un concetto già presente in quello di “corpo” (anche se in modo confuso). È un giudizio che in sostanza non consente di progredire.
I giudizi sintetici a posteriori aggiungono invece qualcosa in più rispetto a ciò che già sappiamo, tuttavia derivano esclusivamente dall’esperienza personale, per esempio, se dico “La vita è difficile”, il predicato “difficile” non è implicito, non è già presente concettualmente nel soggetto “vita”, quindi aggiunge un sapere nuovo ma è un sapere che non può avere valore di conoscenza universale, perché è vincolato ad una percezione individuale.
È grazie ai giudizi sintetici a priori che secondo Kant è possibile progredire con la conoscenza. In questi la connessione tra predicato e soggetto aggiunge qualcosa in più, qualcosa che non era implicito nel soggetto e allo stesso tempo qualcosa di non basato sull’esperienza personale ma su di un calcolo oggettivo. Kant fa l’esempio dei giudizi matematici, 9+12=21 dove il giudizio, 21 è sintetico perché il numero 9 o il numero 12 non si riscontrano nel numero 21 e quindi c’è una progressione e sono questi giudizi universali, non riferiti a un solo caso particolare, quindi sono apriori. Qualcosa di simile sostiene Leibniz per il quale esistono due tipi di verità. Le verità di ragione e quelle di fatto. Le prima sono necessarie e dunque il loro opposto è impossibile, le seconde (quelle di fatto) sono contingenti cioè il loro opposto è possibile. Le verità di ragione sono quelle che secondo Aristotele si fondano sul principio d’identità e su quello di non-contraddizione, i cosiddetti giudizi analitici, per esempio “Il quadrato ha quattro lati”. Dove “il quadrato è un quadrato e non è qualcosa di diverso”. Il giudizio analitico di Leibniz è il giudizio analitico a priori di Kant, cioè è il giudizio che non va oltre il giudizio di identità proprio perché il predicato era già contenuto nel soggetto (il predicato “ha quattro lati” è già implicito nel concetto di “quadrato”). Il giudizio analitico è una verità di ragione che non aggiunge granché alla conoscenza. Mentre le ragioni di fatto sono contingenti cioè non sono necessarie, cioè il predicato è connesso al soggetto e non è incluso in esso, ovvero fa parte del mondo esterno. Sono verità che estendono la conoscenza ma non sono necessarie, cioè il loro essere vero o falso dipende da ciò che accade nel mondo e non dalla incontrovertibilità della ragione e della logica.