Come abbiamo in parte anticipato nel post di ieri, in Funzione e campo si intreccia la teoria dialettica del desiderio, nel senso di desiderio dell’Altro, con l’insegnamento della psicoanalisi come scienza istituita sul “fondamento della parola”[1], ossia come ordinata dalla funzione della parola[2]. Infatti, anche la parola, come il desiderio, è strutturalmente vincolata alla risposta dell’Altro: “ogni parola chiama risposta […] non v’è parola senza risposta”[3]. Tuttavia, non tutte le parole, consentono la realizzazione simbolica della propria soggettività. Ecco la differenzazione fondamentale tra parola vuota e parola piena. Ossia, la tra la parola imprigionata nell’immaginario (parola vuota) e quella che consente la realizzazione simbolica del soggetto (parola piena). La prima è la parola slegata dal desiderio inconscio del soggetto. È la parola dell’io (moi). La parola che “mai si unirà all’assunzione del suo desiderio”[4]. La seconda, la parola piena, invece, valica la dimensione speculare dell’io per fare spazio al desiderio inconscio del soggetto. La parola vuota segna una sovrabbondanza di io. Quella piena, favorendo una sorta di declino dell’io, in quanto parola inconscia, dice qualcosa della verità del soggetto. Tanto più la parola è piena di io, tanto più è vuota di fronte alla verità dell’inconscio. Viceversa, più l’io è, svuotato, destituito più la parola acquista senso e ed assume le caratteristiche di strumento creativo della verità.