Il linguaggio si struttura a partire dalla opposizione simbolica tra assenza/presenza[1]. Il simbolo è una tessera mancante di un pezzo. Il simbolo è ciò che resta in assenza della cosa. Freud, osservò il comportamento di un bambino in risposta all’assenza della madre, mentre giocava con un rocchetto di legno. L’infante lanciava il rocchetto lontano da sé gridando Fort! (Via!), per poi riprenderlo successivamente gridando Da! (Qui!). Attraverso questo gioco egli “simbolizza” l’assenza della madre. Fort! Da! è diade simbolica non ulteriormente scomponibili, è la “struttura” simbolica fondativa. L’assenza e la presenza intelaiano la struttura e il significato di ogni parola, sono la precondizione di ogni possibile parola è impossibile dirle o significarle in quanto tali. Ogni parola e ogni significato saranno sempre riferiti ad un’assenza o a una presenza. Il gioco contrappositivo assenza/ presenza è la “struttura”, è l’impalcatura simbolica del linguaggio[2]. Tale struttura è allo stesso tempo simbolo della condizione umana che è, costituzionalmente, sospesa tra l’assenza e la presenza, vita e morte dell’Io (moi), tra un più e un meno di identità.
L’episodio del Fort! Da! lo troviamo in Al di là del principio di piacere (1921). In questo stesso testo, Freud descrive per la prima volta il concetto di pulsione di morte (Todestrieb) introducendo una sorta teoria quasi-metafisica: “la vita e la morte si compongono in una relazione polare nel seno stesso dei fenomeni che vanno riferiti alla vita”[3]. Vi è un conflitto incurabile, essenza della natura stessa, che vede in campo due forze, Eros e Thanatos che Lacan rappresenta in termini “simbolici”. Lacan traduce questa teoria quasi-metafisica in una teoria del “simbolo”.