Come abbiamo in parte visto nel post di ieri, Lacan, in Funzione e campo, intende sottolineare, proprio come la psicoanalisi si sostanzi come esegesi del testo soggettivo. Se l’inconscio è “quel capitolo della mia storia che è marcato da un bianco, l’obiettivo fondamentale dell’analisi sarà ristabilirne la continuità”[1]. Il processo analitico consente al soggetto di “completare la storicizzazione attuale dei fatti che hanno determinano già nella sua esistenza un certo numero di ‘svolte storiche’”[2]. È un processo di ricomposizione di quel testo storico del soggetto, che consente di liberare l’inconscio dalla dimensione istintuale. Non è qui in gioco l’obiettivo di un ricostruzione archeologica della giustezza dei ricordi, ma “l’assunzione da parte del soggetto della sua storia”[3]. Assunzione che non comporta necessariamente un migliore accesso ai propri ricordi, nascosti nel passato, ma piuttosto consente una risoggettivazione progressiva dei fatti del passato, infatti è necessario tenere presente come “nell’anamnesi psicoanalitica non si tratta di realtà, ma di verità, giacché è effetto della parola piena il riordinare le contingenze passate dando loro il senso delle necessità future”[4]. La parola vuota affonda le sue radici nella falsa padronanza dell’io. La parola piena riesce invece a soggettivare la storia del soggetto: storicizza l’essere del soggetto.
La prima è imprigionata nell’immaginario. La seconda, attraverso il simbolico, lenisce gli effetti deleteri dell’immaginario. La prima è vittima degli imbrogli del narcisismo. La seconda consente “la realizzazione psicoanalitica del soggetto”[5].