L’opposizione meno/più, zero/uno, è alla base della relazione corpo-in-frammenti/Io. È la contrapposizione che fonda ogni fenomeno simbolico: assenza (il corpo-in-frammenti) opposto ad una presenza (l’Io). Anche nel continuo oscillamento identificatorio, il passare da un meno ad un più d’identità, identificazione che vacilla, tutte le volte, tra la morte e la vita e innegabilmente legata alla morte e alla rinascita dell’io. L’identificazione simbolica segna il passaggio dal potere dell’immagine a quello del significante. Passaggio che subordina le fluttuazioni immaginarie dell’io, la storia delle molteplice identificazioni, ad un ordine simbolico, dotato di leggi proprie, indipendente, autonomo, che riesce ad andare aldilà della specularità del registro immaginario. È un ordine sovraindividuale, quello simbolico antecedente all’alienazione immaginaria dello stadio dello specchio. L’alienazione fondamentale del soggetto intrappola il soggetto nell’immagine narcisistico-speculare dell’altro. Trappola che non consente di far coincidere il soggetto con quell’immagine di sé che l’altro, ideale, gli restituisce. L’analisi in questo modo diventa una pratica di dis-alieanzione, finalizzata a simbolizzare l’immaginario, a disidentificare il soggetto dalle varie identificazioni narcisistiche, per restituirlo alla vera verità, unica e particolare, del suo più proprio desiderio. La disidentificazione si realizza attraverso la “disalieanzione”[1]. Attraverso la simbolizzazione progressiva delle molteplici identificazioni, l’alienazione immaginaria viene superata, liberando il soggetto dall’identità alienata. L’altro così si de-psicologizza, dis-antropizzandosi, fino ad arrivare a convergere con le leggi del linguaggio e della cultura: ordine sovra-individuale che determina l’essere dell’uomo.
In Funzione e campo, il soggetto non è ancora il soggetto diviso ($), ma è un soggetto in grado di realizzarsi solo disalienandosi dalle sue identificazioni immaginarie. La cura analitica punta alla disalienazione, alla liberazione dalla falsità dell’identificazione immaginaria dell’io, per consegnarlo all’universalità dell’ordine simbolico. Se il singolare riesce a integrarsi nell’universale del discorso simbolico, si realizza effettivamente la dis-alienazione. La dialettica dell’analisi “non è individuale” in quanto “la soddisfazione del soggetto trova di che realizzarsi nella soddisfazione di ciascuno, cioè di tutti coloro che essa associa in un’opera umana”[2].
Nella psicosi si realizza invece, una vera e propria cancellazione del singolare a favore dell’affermazione di un universale totalmente alienato in un linguaggio che taglia totalmente fuori la parola soggettiva. Proprio a partire da queste considerazioni, Lacan, dice che il destino della scienza è omologo a quello della follia[3]. Nella nevrosi, invece, accade l’inverso. È la parola soggettiva che non riesce ad integrarsi l’universale del linguaggio e della cultura. Nella psicosi la divergenza tra singolare e universale si realizza attraverso il totale appiattimento del singolare, schiacciato da un universale che annulla il soggetto. Nella nevrosi, il singolare non accetta mai del tutto il sacrificio di soggettività, la freudiana rinuncia pulsionale, che la civiltà impone universalmente.