Secondo Lacan, dietro ogni atto parola si nasconde la questione: Chi sono? È la questione del soggetto. Ma ad un certo punto, l’atto di parola sembra arrestarsi. Qualcosa nel meccanismo di riconoscimento si blocca. Nella situazione analitica l’analista incontra un paziente che chiede di essere riconosciuto ma tuttavia parla a vuoto. Lacan, definisce ciò come “parola vuota”. Il paziente si smarrisce in giri e giri di parole. “Chiacchiere”. È una posizione questa che non consente di riconoscersi, e ciò ingenera disagio e angoscia. La missione dell’analista è quella di consentire al paziente di riappropriarsi della “parola piena”, ovvero una “parola vera”, in cui potersi riconoscere. L’analista dovrà lasciar parlare il sintomo, sottolinearne la logica. L’analista restituisce al paziente il messaggio del sintomo. È un messaggio in forma invertita, ovvero sotto la formula del “Tu sei questo”. Nel sintomo si cela la verità che il soggetto non riesce ad afferrare, a far propria. “L’inconscio è quel capitolo della mia storia che è marcato da un bianco o è occupato da una menzogna: è il capitolo censurato. Ma la verità può essere ritrovata; il più delle volte è già scritta altrove”[1], nel corpo, nella formula del sintomo isterico (conversione somatica). È scritta, nei romanzi familiari, nei ricordi d’infanzia, nei sogni, nei lapsus, ovvero in tutte quelle formazioni dietro le quali si celano delle manifestazioni dell’inconscio. L’identificazione simbolica è l’unica a poter arrestare il susseguirsi delle identificazioni immaginarie. L’identificazione simbolica è l’identificazione con il simbolico.
[1] Funzione e campo, op. cit., p. 252