Intervista rilasciata da Jacques Lacan a Emilia Granzotto pubblicata su Panorama, Roma, 21 novembre 1974.
D. – Oggi, che rapporto c’è fra scienza e psicoanalisi ?
R. – Per me l’unica scienza vera, seria, da seguire, è la fantascienza. L’altra, quella ufficiale, che ha i suoi altari nei laboratori, va avanti a tentoni, senza meta. E comincia persino ad aver paura della propria ombra. Sembra che stia arrivando anche per gli scienziati il momento dell’angoscia. Nei loro laboratori asettici, avvolti nei loro camici inamidati, questi vecchi bambini che giocano con cose sconosciute, maneggiando apparecchi sempre più complicati e inventando formule sempre più astruse, cominciano a domandarsi che cosa può accadere domani, a che cosa finiranno per portare queste sempre nuove ricerche. Finalmente, dico io. E se fosse troppo tardi ? Biologi li chiamano, o fisici, chimici. Per me sono dementi. Solo adesso, quando già stanno per sfasciare l’universo, gli viene in mente di chiedersi se per caso non può essere pericoloso. E se salta tutto ? Se i batteri così amorosamente allevati nei bianchi laboratori si tramutassero in nemici mortali ? Se il mondo fosse spazzato via da un orda di questi batteri, con tutta la cosa merdosa che lo abita, a cominciare dagli scienziati dei laboratori ? Alle tre posizioni impossibili di Freud, governo educazione psicoanalisi, io aggiungerei, quarta, la scienza. Solo che loro, gli scienziati, non lo sanno di stare in una posizione insostenibile.
D. – Una visione abbastanza pessimistica di quello che comunemente si definisce progresso.
R. – No, tutt’altro. Io non sono pessimista. Non succederà niente. Per il semplice fatto che l’uomo è un buono a nulla, nemmeno capace di distruggersi. Personalmente, un flagello totale promosso dall’uomo lo troverei meraviglioso. La prova che finalmente è riuscito a combinare qualche cosa, con le sue mani, la sua testa, senza interventi divini, naturali, o altro. Tutti quei bei batteri supernutriti a spasso per il mondo come le cavallette bibliche significherebbero il trionfo dell’uomo. Ma non succederà. La scienza ha la sua brava crisi di responsabilità. Tutto rientrerà nell’ordine della cose, come si dice. L’ho detto : il reale avrà il sopravvento, come sempre. E noi saremo, come sempre, fottuti.
D. – Un altro dei paradossi di Jacques Lacan. Le si rimproverano, oltre la difficoltà del linguaggio e l’oscurità dei concetti, i giochi di parole, gli scherzi linguistici, i calembours alla francese, e, appunto, i paradossi. Chi ascolta, o legge, ha diritto di sentirsi disorientato.
R. – Io non scherzo affatto, dico cose serissime. Solo uso le parole come gli scienziati di cui sopra i loro alambicchi e i loro aggeggi elettronici. Cerco di riportarmi sempre all’esperienza della psicoanalisi.
D. – Lei dice : il reale non esiste. Ma l’uomo medio sa che reale è il monde, tutto quello che la circonda, che si vede a occhio nudo, si tocca, c’è…
R. – Intanto buttiamo questo uomo medio che, lui per primo, non esiste. È soltanto una finzione statistica. Esistono gli individui, e basta. Quando sento parlare di uomo della strada, di inchieste Doxa, di fenomeni di massa e simili penso a tutti i pazienti che ho visto passare sul divano del mio studio in 40 anni di ascolto. Non uno in qualche modo simile all’altro, non uno con le stesse fobie, le stesse angosce, lo stesso modo di raccontare, la stessa paura di non capire. L’uomo medio, chi è : io, lei, il mio portiere, il presidente della Repubblica ?
D. – Parlavamo del reale, del mondo che tutti vediamo…
R. – Appunto. La differenza fra il reale, cioè quello che non va, e il simbolico, l’immaginario, cioè la verita, è che il reale è il mondo. Per constatare che il mondo non esiste, non c’è, basta pensare a tutte le cose banali che un’infinità di stupidi credono essere il mondo. E invito gli amici di Panorama, prima di accusarmi di paradosso, a riflettere bene su quanto hanno appena letto.
D. – Sempre più pessimista, si direbbe…
R. – Non è vero. Non mi metto né fra gli allarmisti né fra gli angosciati. Guai se uno psicoanalista non ha superato il suo stadio di angoscia. È vero, ci sono intorno a noi cose orripilanti e divoranti, come la televisione dalla quale gran parte di noi viene regolarmente fagocitata. Ma soltanto perché è gente che si lascia fagocitare, s’inventa persino un interesse per quello che vede. Poi ci sono altri aggeggi mostruosi altrettanto divoranti : i razzi che vanno sulla luna, le ricerche in fondo al mare, eccetera. Tutte cose che divorano. Ma non c’è da fare drammi. Sono sicuro che quando ne avremo abbastanza, dei razzi, della televisione e di tutte le loro maledette ricerche a vuoto, troveremo altro di cui occuparci. C’è una reviviscenza della religione, no ? E quale miglior mostro divorante della religione, una fiera continua, di che divertirsi per secoli come è già stato dimostrato ? La mia risposta a tutto questo è che l’uomo ha sempre saputo adattarsi al male. Il solo reale concepibile, al quale abbiamo accesso è appunto questo, bisognerà farsene una ragione. Dare un senso alle cose, come si diceva. Altrimenti l’uomo non avrebbe angosce, Freud non sarebbe diventato famoso, e io farei il professore di scuola media.
D. – Le angosce : sono sempre dello stesso tipo o ci sono angosce legate a certe condizioni sociali, a certe epoche storiche, a certe latitudini ?
R. – L’angoscia dello scienziato che ha paura delle sue scoperte può sembrare recente. Ma cosa ne sappiamo di quello che è accaduto in altri tempi ? Dei drammi di altri ricercatori ? L’angoscia dell’operaio costretto alla catena di montaggio come a un remo di galera è angoscia di oggi. O più semplicemente è legata a definizioni e parole di oggi ?
D. – Ma che cos’è, per la psicoanalisi, l’angoscia ?
R. – Qualcosa che si situa al di fuori del nostro corpo, una paura, ma di niente che il corpo, mente compresa, possa motivare. Insomma, la paura della paura. Molte di queste paure, molte di queste angosce, al livello in cui le percepiamo, hanno a che fare con il sesso. Freud diceva che la sessualità, per l’animale parlante che si chiama uomo, è senza rimedio e senza speranza. Uno dei compiti dell’analista è trovare, nelle parole del paziente, il nesso fra l’angoscia e il sesso, questo grande sconosciuto.
D. – Adesso che si distribuisce sesso a tutti gli angoli, sesso al cinema, sesso a teatro, in televisione, nei giornali, nelle canzoni, sulle spiagge, si sente dire che la gente è meno angosciata da problemi legati alla sfera sessuale. Sono caduti i tabù, si dice, il sesso non fa più paura…
R – La sessomania dilagante è solo un fenomeno pubblicitario. La psicoanalisi è una cosa seria, che riguarda, ripeto, un rapporto strettamente personale fra due individui : il soggetto e l’analista. Non esiste psicoanalisi collettiva, come non esistono angosce e nevrosi di massa. Che il sesso sia messo all’ordine del giorno ed esposto agli angoli della strada, trattato alla pari di un qualunque detersivo nei caroselli televisivi, non costituisce affatto una promessa di qualche beneficio. Non dico che sia male. Certo non serve a curare le angosce e i problemi singoli. Fa parte della moda, di questa finta liberalizzazione che ci viene fornita, come un bene concesso dall’alto, dalla cosiddetta società permissiva. Ma non serve, a livello di psicoanalisi.