Fonte: Jacques Lacan, Il Seminario – Libro XI – I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi 1964, Enaudi, Torino, 2003, p. 105.
Per cominciare devo insistere sul fatto che, nel campo scopico, – lo sguardo è al di fuori – io sono guardato, cioè sono quadro.
Questa è la funzione che si trova nel più intimo dell’istituzione del soggetto nel visibile. Ciò che fondamentalmente mi determina nel visibile è lo sguardo che è al di fuori. È attraverso lo sguardo che io entro nella luce, ed è dallo sguardo che ne ricevo l’effetto. Da cui risulta che lo sguardo è lo strumento attraverso cui la luce si incarna e – mi permettete di servirmi di una parola, come spesso faccio, scomponendola – attraverso cui sono foto-grafato
Per noi, non è in questa dialettica tra la superficie e ciò che è al di là, che le cose sono in bilico. Noi partiamo, per parte nostra, dal fatto che c’è qualcosa che instaura una frattura, una bipartizione, una schisi dell’essere alla quale questo si adatta, fin dalla natura.
Il fatto è osservabile nella scala diversamente modulata di ciò che, nel suo termine ultimo, è iscrivibile nel capitolo generale del mimetismo. E ciò che manifestamente entra in gioco sia nell’unione sessuale sia nella lotta a morte. L’essere vi si decompone, in modo sensazionale, tra il suo essere e il suo sembiante, tra sé e la tigre di carta che offre da vedere. Che si tratti della parata, più spesso nel maschio animale, o che si tratti del gonfiamento ghignante con il quale procede nel gioco della lotta sotto forma dell’intimidazione, l’essere dà di sé, o riceve dall’altro, qualcosa che è maschera, doppio, involucro., pelle staccata, staccata per coprire l’intelaiatura di uno scudo. E attraverso questa forma separata da se stesso che l’essere entra in gioco nei suoi effetti di vita e di morte, e si può dire che è attraverso questa fodera dell’altro, o di se stesso, che si realizza quel connubio da cui procede il rinnovamento degli esseri nella riproduzione.