Il principio d’identità, (A=A), stabilisce che una cosa è identica a sé stessa.
Il principio di non contraddizione, ¬(A • ¬A), stabilisce che una cosa non può essere sé stessa e allo stesso tempo il proprio contrario.
Il principio del terzo escluso, (A ^¬A) stabilisce che una cosa o è vera o è falsa, una terza possibilità è esclusa.
A partire da questi principi logici alla base della cogitazione posso sapere cosa è pensabile e cosa no, cosa possibile e cosa impossibile. Tutto ciò che contraddice questi principi è impossibile, impensabile. Quindi la logica mi può dire cosa è possibile, cosa posso ipotizzare.
Il reale, ciò che esiste posso solo verificarlo empiricamente, a posteriori.
Quindi ciò che posso fare è verificare se quello che ho ipotizzato come possibile a priori poi si verifica, se corrisponde al reale della sua esistenza. Infatti il pensiero può pensare anche cose inesistenti, immaginare mondi possibili, fantasticare, ovviamente, rispettando i principi logici d’identità, non contraddizione e del terzo escluso.
Per Cartesio l’Io che pensa è uguale all’Io pensato, Io=Io. Il pensiero è qualcosa di più di un’ipotesi su cosa succede là fuori, nel reale, nell’esistente. L’io pensante coincide con l’io pensato.
Con Io=Io il pensiero dal possibile diventa reale.
Il cogito freudiano è Wo es war soll ich werden, che per Lacan si legge che «il soggetto dovrà avvenire lì dove c’era la cosa, ovvero il reale».
Infatti il reale non viene mai afferrato, è sempre mancato.
Il soggetto avviene dove era il reale, non dove è il reale, ma dove esso era fino a poco prima, fino ad un attimo prima che sparisse e che sparendo ha fatto posto al soggetto.
Quindi, con Cartesio, il pensiero riesce ad afferrare qualcosa dell’essere, rendendo possibile la congiuntura tra il possibile e il reale, l’ipotetico con l’esistente.
Per Lacan, invece, al cogito, al pensiero, al soggetto sfugge l’essere e capovolge la filosofia cartesiana che invece ipotizzava la capacità di presa del pensiero sull’essere.
La discontinuità dell’inconscio è rottura di qualcosa, mancanza. Una mancanza che non può essere riportata al suo posto, come accade per i tasselli nel gioco dei quindici.
È la discontinuità dell’inconscio che si apre e si chiude, che non è una mancanza che può tornare al suo posto.
L’inconscio di Lacan negli anni 60’ è concepito come «Intoppo, mancamento, fessura. In una frase pronunciata, scritta, qualcosa viene a incespicare. Freud è calamitato da questi fenomeni ed è lì che va a cercare l’inconscio. Lì qualcosa d’altro domanda di realizzarsi – qualcosa che appare, certo, come intenzionale, ma con una strana temporalità. Quel che si produce in questa faglia, nel senso pieno del termine prodursi, si presenta come la trovata. È così in primo luogo che l’esplorazione freudiana incontra quello che succede nell’inconscio»[i].
L’inconscio è una discontinuità che ha un suo ritmo, un battito temporale. Se per Cartesio il pensiero ha presa sull’essere, sul reale, per Lacan il pensiero per un istante è in grado di insinuarsi in qualcosa di sfuggente, qualcosa che immediatamente si sottrae.
Se per Cartesio il pensiero, la cogitazione si eleva ad un livello che
potremmo definire ontologico, cioè diventa in grado di cogliere l’essere, il
reale, in Lacan il pensiero, il cogito si può cogliere in base ad una “strana
temporalità”, insolita e sfuggente. Qui è in gioco un livello temporale dell’inconscio.
[i] Lacan J., Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Enauidi, Torino, 2003, p. 26. Cf. Contesto e concetti di Jacques Alain-Miller, Seminario XI, ivi, p. 285.