Chi non ha provato l’esperienza di sentire il proprio corpo “andarsene per conto suo”? Quel batticuore se prendi la parola in presenza di un pubblico numeroso. La spossatezza dopo una giornata difficile. Il nodo alla gola per una brutta notizia, il magone per il tuo desiderio che non si realizza, il tremore delle gambe, delle mani e così via.
Un batticuore causato, per esempio, dal prendere la parola durante una conferenza, potrebbe ingenerarsi da una serie associativa inconsapevole di ricordi di un certo tipo, cioè dei legami associativi che col tempo si sono strutturati in uno schema[i]. Che cosa ci impedisce di creare nuovi legami associativi? Diciamo più pertinenti con un determinato contesto? Prendi il microfono e dici quello che devi dire: punto e basta!
Generalmente la tachicardia è associata a un incremento dell’attività muscolare o respiratoria, come quando si fa jogging. Ma si può produrre anche quando ti ritrovi mille occhi puntati addosso durante una conferenza, occhi in grado di valutare, giudicare, esaminare quello che stai dicendo. Questa è una conoscenza che tutti hanno intuitivamente. Ma perché accade?
Il legame “batticuore/tensione muscolare alle gambe/aumento respiratorio/perdita lucidità/sala gremita di illustri personaggi” sembra continuare a produrre i suoi effetti, ogni volta. In condizioni normali il pensiero si struttura attraverso un flusso di idee che fluisce sequenzialmente da una premessa (P) ad una conclusione (C) passando attraverso alcune premesse intermedie (I₁, I₂, I₃, …In).
Naturalmente questa è una rappresentazione semplificata del flusso dei pensieri. Niente di più. Ma per adesso può bastare. Ipotizziamo che, delle non meglio identificabili alterazioni della forma del pensiero vanno ad incidere sulla quantità e sulla velocità dei contenuti ideativi, sulla coerenza dei nessi associativi e sull’espressione attraverso il linguaggio. Pertanto, se in condizioni normali il pensiero si organizza a partire da un flusso di idee sequenzialmente ordinato secondo questa logica: da una premessa (A) si arriva ad una conclusione (B) passando attraverso alcune premesse intermedie (C), in caso di alterazioni, il flusso cambia.
Riprendendo l’esempio del legame associativo “batticuore-tensione muscolare alle gambe-aumento respiratorio-perdita lucidità-sala gremita di illustri personaggi”, interroghiamoci sulla possibilità che, alla base di questa sequenza ci sia un’alterazione formale del pensiero. In particolare, in questo caso ci soffermeremo sul segmento “perdita di lucidità”. Ragionando solo su alcune delle possibili alterazioni che il flusso di idee potrebbe subire.
L’accelerazione[i], per esempio, comporta che i processi associativi si svolgano con maggiore rapidità a scapito dell’efficacia comunicativa. In questo caso avremo un aumento della produzione delle idee ma i legami associativi divengono accessori.
Potrebbe l’accelerazione, in quanto alterazione
del pensiero, essere uno dei tasselli in grado di aiutarci a capire la natura
dello schema mentale alla base di un fenomeno corporeo come quello del “batticuore”,
del “tremore alle gambe”, del “nodo alla gola” e soprattutto della “perdita di
lucidità”?
L’accelerazione sembra
causare la fuga delle idee e cioè la velocità con cui si verificano le
associazioni aumenta e le premesse intermedie (I) prodotte nel mentre si
realizza il percorso che va dalla premessa (P) alle conclusione (C),
oltrepassano quei concetti che invece usualmente si producono (I).
Il rallentamento del pensiero fa sì che i processi associativi si svolgano con molta lentezza, bassa produttività e ridotta efficacia comunicativa. Nei casi estremi si può arrivare al blocco e cioè all’arresto improvviso e inaspettato dell’eloquio connesso ad un possibile arresto del flusso associativo, generalmente caratterizzato dall’impossibilità di recuperare i pensieri precedenti il blocco. Intuitivamente, questo tipo di alterazione del pensiero sembra essere molto vicino alla problematica della “perdita di lucidità”, per esempio. La velocità di pensiero si riduce (e nello schema aumenta la lunghezza delle frecce) ed il numero delle premesse intermedie tra loro connesse (C,…) durante il percorso dalla premessa alle conclusioni, diminuisce.
L’impoverimento del flusso di idee rende l’ideazione e quindi l’eloquio scarni e ridotti, sia dal punto di vista quantitativo (contenuti) che qualitativo (modalità formali dell’espressione). A causa della sua indeterminatezza il pensiero fornisce poche informazioni. Anche in questo caso, intuitivamente, l’impoverimento, sembra essere un nodo fondamentale della “perdita di lucidità” connessa al forte arousal indotto dall’esperienza del “dover parlare dinnanzi ad un pubblico”.
Altro caso ancora di alterazione del pensiero è quello della tangenzialità. In questo caso il pensiero effettua una strada marginale rispetto a quello normalmente percorsa per giungere a conclusioni pertinenti con le premesse (C), e la finalità sarà raggiunta in maniera marginale (C1). Si noti come i concetti disposti lungo il percorso parallelo a quello usuale, si trovano comunque sempre ad una medesima distanza logica da quelli normalmente evocati.
E adesso analizziamo l’alterazione del percorso associativo che devia verso le premesse intermedie concetti (D,E,F,G,H,…) non collegate alle conclusioni, che causa la perdita della capacità di arrivare alle conclusione (B), il deragliamento.
Il deragliamento consiste cioè nella deviazione graduale o improvvisa del corso del pensiero senza blocco, in cui i nessi associativi tra le varie unità ideative sono alterati e difficilmente codificabili.
Per finire, abbiamo il caso dell’illogicità, dove il pensiero non raggiunge le conclusioni in accordo con le finalità (B), ma procede seguendo percorsi illogici (linee irregolari) in grado di evocare i premesse intermedie (D,E) senza alcuna relazione tra loro.
L’illogicità rappresenta un’alterazione formale del pensiero in seguito al quale i processi ideativi non giungono a conclusioni decifrabili attraverso le regole della logica comunemente usata.
[i] Userò qui alcune categorie prettamente psichiatriche, comunemente usate per studiare gravi psicopatologie. Noi ne faremo un uso diverso, proveremo ad analizzare problematiche per dir così, più soft, a partire da queste categorie.
[i] Iricordi tendono a configurarsi tra di loro in uno schema. Ma cosa intendiamo per schema? Iniziamo con l’ipotizzare che sia una capacità inconsapevole, appunto, di organizzare i nostri ricordi. Il termine schema deriva dalla parola σχηµα che sta ad indicare lo stato del corpo in movimento. Pensiamo alle statue classiche degli atleti raffigurati sempre nel movimento del loro gioco olimpico, molto diverse dalla rigida fissità delle statue arcaiche note come curoi (χνροι), rappresentazioni astratte della bellezza e della forza dei corpi giovanili. Quindi lo schema non è una cosa rigida. Fu Bartlett a teorizzare per primo quel concetto di schema che poi ebbe così tanta fortuna nelle scienze cognitive. La memoria, sostiene questo autore, è flessibile e non una costellazione rigida di tracce mnestiche. Lo schema è un’organizzazione di conoscenze in grado di orientare il comportamento, molti ricordi passati tendono ad assumere la forma degli schemi familiari e routinari. L’esempio classico è quello di un esperimento fatto sulla narrazione di una storia intitolata la Guerra degli spiriti. Una storia breve seppur molto articolata e piena di dettagli, incentrata su una leggenda degli indiani d’America. L’esperimento prevedeva che un soggetto dovesse leggere per due volte il racconto e, dopo 30 minuti, provare a rievocarlo riscrivendolo. La nuova versione scritta dal primo soggetto passava ad un altro che a sua volta la riscriveva e così via. Alla decima versione, la trama si cristallizzava in una versione molto semplificata e con molti passaggi divergenti dall’originale. Ciò accadeva perché si tendeva a ricordare la storia a partire dalla propria cultura di origine e cioè quella occidentale, senza per questo riuscire a fissare alcuni aspetti caratteristici invece della cultura indiana.