Engramma e immagine (13/14)

Ci facciamo immagini dei fatti (Tractatus[i], 2.1). Ma l’immagine stessa è un fatto (Tractatus, 2.141), cioè, una certa configurazione di oggetti che istituisce un certo stato di cose.

Un fatto deve poter essere chiamato “immagine” deve avere qualcosa che lo accomuni con l’oggetto raffigurato (Tractatus 2.16).

Ma facciamo un passo indietro. L’immagine, come ci ricorda Lacan in Aldilà del principio di realtà, ha funzione di informazione[ii], parliamo ovviamente delle immagini mentali, di illusioni, allucinazioni reali, potremmo dire. L’immagine è una «sensazione indebolita nella misura in cui testimonia in modo meno sicuro la realtà»[iii], è un’ombra di una sensazione realmente vissuta che ha lasciato una traccia, organismica: l’engramma.

L’engramma sarebbe una traccia neurobiologica grazie alla quale la memoria riuscirebbe a ricordare fatti e sensazioni che sarebbero immagazzinati attraverso un certo codice fatto di variazioni biochimiche dei tessuti cerebrali.

Ovviamente l’ipotesi più accreditata è che un fatto consta di immagini, suoni, movimenti, parole, stati somatici (emozioni, umori…) che verrebbero codificati in diverse aree cerebrali con diversi collegamenti sinaptici. Tale configurazioni di connessioni neurali codificherebbero l’esperienza realmente vissuta. Questo sarebbe l’engramma. Ora, l’engramma, da solo, è solo una traccia che, per diventare immagine deve poter assumersi la funzione di informare, dare informazioni.

Quindi, il mondo è tutto ciò che accade, ciò che accade, il fatto, è il sussistere di stati di cose, l’immagine logica dei fatti è il pensiero, cioè, ciò che accomuna un immagine ad un fatto è una certa logica.

L’immagine psichica, dal punto di vista organico è un fatto, è una traccia mnestica di un evento del mondo. Cioè, l’immagine, come funzione di informazione, è preceduta da un fenomeno originario.

È sullo sfondo.

È qualcosa di prelinguistico, precodificabile.

C’è una certa somiglianza tra immagini oniriche e segni di un linguaggio. È una forma di linguaggio inesprimibile, una sorta di codice onirico intraducibile nella lingua vigile, che emerge in un contesto di significazione a partire da certe condizioni di significanza.


[i] Wittgenstein L., Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916. Nuova edizione, trad. e introduzione di Amedeo G. Conte, Collana Biblioteca, Torino, Einaudi, 1997

[ii] Lacan J., Aldilà del principio di realtà, in Scritti, Enaudi, Torino, 1974, p. 71.

[iii] Lacan J., Aldilà del principio di realtà, op. cit., p. 72. «L’esistenza dell’engramma non è dimostrata ancora da evidenze sperimentale ma fortemente postulata. Il termine è stato introdotto da Richard Semon nel 1904 in Richard Wolfgang Semon, Die Mneme als erhaltendes Prinzip im Wechsel des organischen Geschehens, Leipzig, Engelmann, 1911, per l’autore l’engramma rappresenta la traccia mnestica che immagazzina la traccia dell’esperienza con il passare del tempo.