Per Jung, se l’uomo è razionalità, la divinità simbolizza la follia. Agamennone ha sottratto una schiava ad Achille e restituendogliela dice: ho usato violenza, ma tu sai quante violenze gli dei infliggono nella mente degli uomini? Achille risponde sì, che le conosce ed aggiunge che il dio infligge le violenze con cui gli uomini si scatenano. La violenza è attribuita alla divinità in quanto questa rappresenta la struttura disgregante la comunità.
Anche Euripide nelle Baccanti racconta che quando Dioniso entra nella città di Tebe, il sovrano non è più il re, il palazzo collassa, le donne si trasformano in menadi agitando il tirso sul monte, i vecchi diventano bambini. A nessuno uomo è dato il potere di allontanare il dio, è necessario attendere che sia il dio ad andare via da solo. Infatti, quando Dioniso abbandonerà Tebe la città ritorna normale.
La follia è una dimensione preumana che ciascuno di noi nasconde nel profondo, in cui sono conservate tutte le nostre possibili esistenze non realizzate. Queste potenzialità si trovano allo stato primordiale, tenderanno sempre in qualche modo di esprimersi, caratterizzano persino i nostri stessi umori. Infatti non riusciamo ad essere sempre identici a noi stessi. Talvolta siamo saggi come i vecchi, altre volte irresponsabili come i bambini, a volte ipermaschili altre femminili. Sono tratti latenti che colorano i nostri umori, se siamo “normali” e che si impadroniscono della nostra personalità, quando l’Io crolla. Per Jung, l’inconscio è abitato dalle nostre potenzialità non estroflesse che si esprimono negli umori e, nei casi gravi, nella follia.
La concezione di simbolo junghiano è diversa da quella freudiana. Per Freud il simbolo è segno: sogno una torre, ho sognato un fallo. C’è una perfetta corrispondenza tra ciò che sogno e l’oggetto del sogno. Il simbolo in Jung mette assieme gli opposti. Resta un simbolo finché non viene spiegato. Quando viene spiegato perde la sua potenza. Diventa un elemento identificatorio. I simboli sono generatori, sono forze, non vanno interpretati, essi agiscono e vanno riconosciuti nelle tracce che lasciano nella psiche: sono eccedenze di significato.