Brani antologici Seminario IV: Jacques Lacan, Il seminario. Il libro IV. La relazione d’oggetto, Enaudi, Torino, 2007. Le vie perverse del desiderio
Proprio a questo stadio si produce, se così si può dire, il momento fatale quando il padre interviene nel reale per dare un bambino alla madre, vale a dire fa di questo bambino, nei confronti del quale il soggetto è in relazione immaginaria, un bambino reale. Qualcosa si realizza e di conseguenza non può più essere sostenuto dalla ragazza nella posizione immaginaria dove lei lo istituiva. (S4, 130)
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Per specie d’inversione la relazione del soggetto con il padre, che si situava nell’ordine simbolico, passa nel senso della relazione immaginaria. O, se volete, c’è proiezione della formula inconscia, quella del suo primo equilibrio, in una relazione immaginaria, vale a dire il suo rapporto con la signora. È il terzo tempo. (Ibidem)
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Ricordiamo qual è questa posizione e come Freud ce la formula. Ci dice che le resistenze della malata sono state insormontabili. Ma queste resistenze come le materializza? Quali esempi ne dà? Con quale senso? Egli le vede espresse in particolare in un sogno ce, paradossalmente, avrebbe potuto fare ben sperare, cioè che la situazione si normalizzasse. In effetti è un sogno che tratta di riunione, di conjugo, di matrimonio, fecondo. La paziente vi è sottomessa a uno sposo ideale, da cui ha dei bambini. Insomma, il sogno manifesta un desiderio che va nel senso di ciò che, se non Freud, almeno la società rappresenta qui dalla famiglia auspica come esito de trattamento. (S4, 131)
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Forte di tutto quel che la paziente gli dice della sua posizione e delle sue intenzioni, Freud, lungi dal prendere il testo del sogno alla lettera, vi vede solo un’astuzia della paziente, con il preciso scopo di deluderlo o più esattamente d’illuderlo e disilluderlo al tempo stesso, come nell’uso da me evocato prima del gioco intersoggettivo dell’indovinare. Ciò presuppone, come Freud nota, che gli si possa obiettare: Ma allora, l’inconscio può mentire? Freud si sofferma a lungo su questo punto, lo discute e ha cura di rispondere in modo assai articolato. (Ibidem).
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La situazione della quadriglia, in effetti, si capisce solo nella misura in cui l’io – soltanto l’io – di Dora si è identificato con un personaggio virile, lei è il signor K., e gli uomini sono per lei altrettante cristallizzazione possibili del suo io. In altri termini, è tramite il signor K., è in quanto lei è il signor K., è nel punto immaginario costituito dalla personalità del signor K., che Dora è attaccata al personaggio della signora K. . […] Tutta l’osservazione riposa sulla nozione centrale dell’impotenza del padre. (S4, 136)
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In effetti, questo padre da cui non riceve simbolicamente il dono virile, Dora rimane molto attaccata, così attaccata che la sua storia comincia esattamente all’età dell’uscita dall’Edipo, con tutta una serie di attacchi isterici chiaramente legati a manifestazioni d’amore per questo padre che, ora più che mai, appare decisamente come un padre ferito e malato, colpito nelle sue stesse potenze vitali. L’amore che ha per il padre è strettamente correlativo e coestensivo al suo essere sminuito. Abbiamo quindi una distinzione molto netta. Quel che interviene nella relazione d’amore, quel che è domandato come segno d’amore non è nient’altro che qualcosa che vale come segno. O, per andare oltre, non c’è dono possibile più grande, segno d’amore più grande del dono di ciò che non si ha. Ma notiamo bene che la dimensione del dono esiste solo con l’introduzione della legge. Come afferma tutta la meditazione sociologica, il dono è qualcosa che circola, il dono che fate è sempre il dono che avete ricevuto. Ma quando si tratta del dono tra due soggetti, il ciclo dei doni viene ancora da altrove, poiché ciò che costituisce la relazione di amore è che il dono sia dato, per così dire, per niente. Il niente per niente è il principio dello scambio. Questa formula, come ogni formula in cui interviene il niente ambiguo, sembra essere la formula stessa dell’interesse, ma è anche la formula della pura gratuità. Nel dono d’amore, qualcosa viene dato per niente e non può essere altro da niente. In altri termini, ciò che costituisce il dono è il fatto che un soggetto dia qualcosa in modo gratuito, nella misura in cui dietro a quello che dà ci sia tutto ciò che gli manca, cioè che il soggetto sacrifichi al di là di quello che ha. Avviene così del resto per il dono primitivo così come si esercita effettivamente all’origine degli scambi umani nella forma del potlatch. Supponiamo un soggetto carico di tutti i beni possibili, di tutte le ricchezze, un soggetto che sia colmo di tutto ciò che si può avere. Ebbene, un dono proveniente da costui non avrebbe affatto valore di sego d’amore. I credenti s’immaginano di poter amare Dio perché Dio è supposto detenere una pienezza totale, il colmo dell’essere. (S4, 137)
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In fondo a ogni credenza in un dio come perfettamente e totalmente munificio, c’è la nozione di quel non so che gli manca in ogni caso e fa sì che si possa sempre supporre che non esista. Non vi è alcun’altra ragione di amare Dio, se non che forse non esiste. Quel che è certo è che Dora, a questo punto, si trova nel momento in cui ama suo padre. Lo ama precisamente per ciò che non le dà. Tutta la situazione è impensabile al di fuori di questa posizione primitiva che si mantiene sino alla fine. Bisogna ora concepire come abbia potuto essere supportata, tollerata, dato che il padre s’impegna di fronte a Dora in qualcos’altro, che Dora sembra persino avere indotto. (S4, 138)
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Dora è sul percorso del rapporto duale con la signora K. O meglio la signora K. È ciò che è amato al di là di Dora e, proprio per questo, Dora si sente interessata a questa posizione. La signora K. è ciò che lei, Dora, non può né sapere né conoscere di questa situazione dove non riesce a collocarsi. Ciò che è amato in un essere è al di là di ciò che è, vale a dire, in fin dei conti, ciò che gli manca. (S4, 139)
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Dora può ammettere che suo padre ami in lei, e attraverso di lei, ciò che è al di là, la signora K. . ma, affinché sia tollerabile nella sua posizione, bisogna che il signor K. occupi la funzione esattamente inversa ed equilibrante. Ossia Dora può essere amata da lui al di là di sua moglie ma sua moglie deve essere qualcosa per lui. Questo qualcosa è la stessa cosa di questo niente che ci deve essere al di là, vale a dire, in questo caso, dora. Non dice che sua moglie non è niente per lui. Dice che, dal lato di sua moglie, non c’è niente. La preposizione an la ritroviamo in mille locuzione tedesche, ad esempio nell’espressione Es fehlt ih man Geld. È un’entratura, un’ammissione nell’al di là di quel che manca. È precisamente quel che ritroviamo qui. Il signor K. vuol dire che non c’è niente dopo sua moglie: Mia moglie non è nel circuito. Cosa ne risulta? Dora non può tollerare che il signor K. si interessi a lei solo perché si interessa unicamente a lei. Tutta la situazione sarebbe rotta all’istante. Se il signor K. s’interessa solo alla signora K., e allora Dora non può più tollerarlo. Perché? Agli occhi di Freud, tuttavia, Dora rientra bene in una situazione tipica. Come spiega Lévis-Strauss nelle Structures élémentaires de la parenté lo scambio dei legami dell’alleanza consiste esattamente in questo: ho ricevuto una donna e devo una figlia. Ma questo, che è il principio stesso dell’istituzione dello scambio e della legge, costituisce la donna come puro e semplice oggetto di scambio, non essendovi integrata da niente. In altri termini, se non ha lei stessa rinunciato a qualcosa, precisamente al fallo paterno concepito come oggetto di dono, non può concepire, soggettivamente parlando, di ricevere qualcosa da altri e cioè da un altro uomo. Nella misura in cui è esclusa dalla prima istituzione del dono e della legge nel rapporto diretto del dono d’amore, non può vivere questa situazione se non sentendosi ridotto puramente e semplicemente alo stato di oggetto. È effettivamente quel che succede. Dora, in modo deciso, si ribella e comincia a dire: mio padre mi vende a qualcun altro. In effetti, è il riassunto chiaro e tondo della situazione, nella misura in cui è mantenuta in penombra. Per il padre, tollerare in modo velato che il signor K. conduca nei confronti di Dora un corteggiamento al quale si dedica da anni è di fatto un modo di ripagare la sua compiacenza di marito. Il signor K. ha dunque ammesso di non far parte di un circuito nel quale Dora può o identificarlo con se stessa o pensare di essere – lei, Dora – il suo oggetto al di là della donna attraverso cui Dora stessa si ricollega a lui. Vi è rottura di questi legami, senza dubbio sottili e ambiguo, ma comunque dotati di un senso, di un orientamento perfetto, che consentono a Dora di trovare il suo posto nel circuito, anche se in modo instabile. La situazione si squilibra. Dora si vede scaduta nel ruolo di puro e semplice oggetto e comincia allora a entrare nella rivendicazione. Rivendica ciò che fino allora era ben disposta a considerare di ricevere, anche se tramite un’altra, vale a dire l’amore del padre. A partire da questo momento, visto che le viene totalmente rifiutato, lo rivendica n modo esclusivo. (S4, 141-142)
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Ciò che la ragazza dimostra al padre è come si possa amare qualcuno, non solo per quello che ha, ma, letteralmente, per quello che non ha, per quel pene simbolico che lei sa bene non troverà nella signora, dal momento che sa benissimo dove si trova, cale a dire nel padre che, lui sì, non è impotente. (S4, 142)
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All’inizio di Guerra e pace il tema reiterato delle spalle nude delle donne viene al posto di qualcos’altro. Se i grandi romanzieri sono sopportabili è in quanto tutto ciò che si applicano a mostrarci trova senso, non tanto simbolicamente o allegoricamente, ma per ciò che fanno risuonare a distanza. Lo stesso vale per il cinema: un film è buono se è metonimico, allo stesso modo, la funzione della perversione del soggetto è una funzione metonimica. […]. Letteralmente, il signor K. è la sua metafora. Infatti Dora non può dire niente di ciò che è, Dora non sa come situarsi, né dove sia, né a cosa serva, né a cosa serva l’amore. Semplicemente, sa che l’amore esiste, ne trova una storicizzazione dove trova il suo posto sotto forma di una questione. Questa questione è centrata dal contenuto e dall’articolazione di tutti i suoi sogni – lo scrigno dei gioielli, Bahnhof, Friedhof, Vorhof – che non significano nient’altro che questa questione. Insomma, dora si esprime in quel modo, tramite i suoi sintomi, proprio perché s’interroga su che cosa sia essere una donna. Questi sintomi sono elementi significanti, ma lo sono in quanto, sotto di essi, scorre un significato perennemente in movimento, che è il modo in cui Dora vi si implica interessandosene. (S4, 143)
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La ragazza si trova allora sprovvista di ogni risorsa. Fino ad allora era stata si frustrata allora sprovvista di ogni risorsa. Fino ad allora era stata sì frustrata in ciò che le doveva essere dato, cioè il fallo paterno, ma aveva trovato il modo di mantenere il desiderio tramite la relazione immaginaria con la signora. Ma quando quest’ultima la rigetta, allora non arriva proprio più a sostenere nulla. L’oggetto è definitivamente perduto e questo niente, in cui si è istituita per dimostrare al padre come si possa amare, non ha più ragione di esistere. A questo punto si suicida.