Il cammino del minore psicotico può essere caratterizzato da oscillazioni tra momenti regressivo-fusionali, che necessitano di un ambiente principalmente contenitivo e momenti più evoluti, durante i quali è possibile lavorare in luoghi più aperti e stimolanti. Lungo il continuum di una serie di binomi che segnano le condizioni di partenza del malato (frammentazione/coesione, deficit/conflitto, negazione/consapevolezza di malattia, dipendenza/emancipazione ecc.) si posiziona una gamma intermedia di possibilità intrapsichiche e relazionali che richiedono metodi e luoghi specifici di accoglimento e trattamento: da un luogo di rigorosa protezione e contenimento fino ai vari spazi gestiti in modo più autonomo, nella direzione di un reinserimento sociale e di una maggiore vivibilità.[1]
Il primo incontro con il minore psicotico in genere avviene in uno spazio che consente di accogliere e di comprendere le richieste che provengono dal tessuto sociale esterno, soprattutto se teniamo conto del fatto che la maggior parte di loro si rivolge al Servizio attraverso la delega di altri (famiglia, istituzioni…) in quanto incapaci di chiedere aiuto e in stato di grave frammentazione. In questo ambito è importante garantire quello spazio di ascolto e decifrazione della domanda e dei bisogni specifici del paziente e della sua famiglia, fondamentale per l’elaborazione del progetto di cura.
I luoghi di cura possiamo pensarli facendo riferimento a un duplice criterio: in un primo gruppo potrebbero essere comprese le strutture che funzionano come un sistema protettivo nelle situazioni di crisi acuta, sia temporanea che prolungata, di break-down, crollo o destrutturazione dell’organizzazione psichica o quando le difficoltà della relazione duale oltrepassano la possibilità di contenimento di vissuti auto ed etero distruttivi[2]. Esse sono generalmente rappresentate dal reparto ospedaliero (Servizio di Diagnosi e Cura) per gli stati di acuzie o dalle Comunità ad alta protezione, senza limiti di tempo predeterminabili, volte a mantenere e a sostenere le risorse residue del paziente psicotico cronico[3]. Sono questi i luoghi in cui la condizione del paziente è quella di “essere presso di noi”[4] in un forte legame di dipendenza per l’estrema vulnerabilità del proprio Sé.
[1] Vigorelli, M. (2004). Modelli psicoanalitici di intervento istituzionale. Associazione di Studi Psicoanalitici, giornata di Studio “Psicoanalisi nelle Istituzioni”, in Psychomedia.
[2] Marta Vigorelli, Il lavoro della cura nelle istituzioni. Progetti, gruppi e contesti nell’intervento psicologico, 2005, Franco Angeli, p. 111
[3] Lanzara D. (1994). Pluralità delle strutture e differenziazione degli interventi nell’articolazione del trattamento delle psicosi. In Vigorelli., M. (a cura di) Istituzione tra inerzia e cambiamento. Torino: Bollati Boringhieri.
[4] Sassolas, M. (1987). Comment s’articulent dans une structure intérmediaire, dynamique institutionelle et dynamique individuelle? In : Rev Med Suisse Romande, n.107. Sassolas, M. (1987). Comment s’articulent dans une structure intérmediaire, dynamique institutionelle et dynamique individuelle? In : Rev Med Suisse Romande, n.107.