Fonte: Grande Antologia filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XIX, pagg. 54-56 [De Tracy]
Voi pensate tutti e lo dite sovente, senza averne il minimo dubbio. Questa per voi è una verità di esperienza, di sentimento, d’intima convinzione: ed io sono ben lontano dal negarlo.
Ma vi siete voi mai resa una ragione alquanto precisa di ciò che sia pensare, di ciò che provate quando pensate, qualunque sia la cosa a cui pensate? Io sono tentato a credere che no: e molti e molti uomini muoiono senza aver fatto ciò, anzi senza avervi pur solamente badato. Questa spensieratezza sí comune dovrebbe sorprenderci assai, se non fosse vero che solamente le cose rare hanno il potere di sorprenderci. Proviamo di fare insieme questo esame, il quale io sospetto che non abbiate fatto mai.
Voi dite tutti: io penso la tale cosa, quando avete una opinione, quando formate un giudizio. Ed infatti formare un giudizio vero o falso è un atto del pensiero; e quest’atto consiste nel sentire che v’è una connessione, una relazione qualunque tra due cose che si paragonano insieme. Quando io penso che un uomo è buono, io sento che la qualità di buono conviene a quell’uomo. Non si tratta qui di cercare se cosí pensando o sentendo, io abbia ragione o torto; né d’onde possa procedere il mio errore, caso che m’inganni. Questa è cosa che vedremo altrove. Pensare adunque è un vedere una relazione di convenienza o di sconvenienza tra due idee: è sentire una connessione o relazione.
Voi dite pure: io penso alla nostra passeggiata di ieri, quando la memoria di quella passeggiata viene a colpirvi, e, dirò cosí, a toccarvi. In questo caso pensare è dunque provare un’impressione di una cosa passata: è sentire una ricordanza.
Quando desiderate, quando volete qualche cosa, voi non dite già, comunemente parlando: io penso che provo un desiderio, una volontà. Questo infatti sarebbe un pleonasmo, una espressione inutile. Non è però meno vero che desiderare e voleresono atti della facoltà interna che in generale noi chiamiamo il pensiero; e che quando desideriamo o vogliamo qualche cosa, proviamo una interna impressione che chiamiamo un desiderio o una volontà. In questo caso pensare è sentire un desiderio.
Meno ancora voi vi servite della espressione: io penso, quando non fate che provare una impressione attuale e presente, la quale non è né una ricordanza di cosa passata, né una relazione sussistente tra due idee, né un desiderio di possedere o di evitare un oggetto qualunque. Quando un corpo caldo vi abbrucia la mano, voi non dite già: io penso che mi abbrucio; ma dite: io sento che mi abbrucio: ovvero piú propriamente e semplicemente: io m’abbrucio. Se voi siete tocco da qualche dolore interno, per esempio da quello della colica, non dite: io penso che patisco; dite: io patisco. Intanto è certo che l’alterazione meccanica che succede nella vostra mano o nelle vostre viscere, è una cosa distinta e differente dal dolore che ne sentite; e la prova si è, che se codesti organi sono paralizzati o incancreniti, possono provare alterazioni e lesioni cento volte piú forti, senza che voi sentiate nulla. Or questa facoltà d’essere affetto da piacere o da dolore all’occasione di ciò che succede a’ nostri organi, fa ancor essa parte di ciò che chiamiamo pensiero o facoltà di pensare. In questo caso adunque pensare è avere una sensazione, o, parlando piú semplicemente, sentire.
Pensare, siccome voi vedete, è sempre sentire, e null’altro che sentire. Voi mi domanderete intanto cosa sia sentire. – Vi rispondo: sentire è ciò che voi sapete, ciò che provate. Se nol provaste, inutilmente io mi sforzerei di spiegarvelo; e voi né m’intendereste, né mi capireste. Ma poiché voi avete coscienza di questa maniera d’essere, cioè sentite di sentire, non avete bisogno di alcuna spiegazione per conoscerla, bastandovi l’esperienza vostra. Sentire è un fenomeno della nostra esistenza, è la esistenza nostra medesima; poiché un essere che non sente nulla, può bensí esistere per gli altri esseri, se essi lo sentono, ma certamente non esiste per sé medesimo, poiché non lo sa.
Con maggior ragione potreste domandarmi, perché, se pensare è lo stesso che sentire, si sono fatte due parole distinte quando doveva bastarne una sola. –Vi dirò dunque che questo si è fatto perché si è piú spezialmente destinata la parola sentiread esprimere l’azione di sentire le prime impressioni che ci colpiscono, quelle che si chiamano sensazioni; e la parola pensare ad esprimere l’azione di sentire le impressioni secondarie che le sensazioni occasionano, come sono le ricordanze, lerelazioni, i desiderii. Questa divisione tra le due parole sicuramente è mal fatta, perché non è fondata che sulle false idee formate intorno alla facoltà di pensare prima di averla ben considerata, ed ha in seguito cagionato altri errori. Ma ad onta della oscurità che questo cattivo impiego di parole sparge sull’argomento che trattiamo, è manifesto, quando vi si riflette attentamente, che pensare è avere delle percezioni o delle idee; che le nostre percezioni o idee (ed io fo queste due parole assolutamente sinonime) sono cose che noi sentiamo; e che per conseguenza pensare è sentire. Noi abbiamo dunque attualmente una cognizione generale di ciò che sia pensare.