La pura intuizione intuisce una continuità indivisa, sostiene Bergson, ma noi la frazioniamo in elementi giustapposti che qui corrispondo a delle parole distinte, là a degli oggetti indipendenti: abbiamo così il passaggio dall’immediato all’utile.
Sequenze giustapposte di istanti. Giustapposizioni di un prima ad un poi, un punto a quello successivo. Ma quella continuità indivisa, il movimento in quanto tale, è inarrestabile. Fluisce. Accade. A noi ci accade invece di riconfigurarlo a nostro piacimento, di trasformarlo da immediato a utile. Da questo passaggio, dall’immediato all’utile, otteniamo la rifrazione della “pura durata” attraverso lo spazio. Rifrazione che ci permette di separare i nostri stati coscienti, di ricondurli ad una forma sempre più impersonale, di imporre ad essi dei nomi, di farli entrare nella corrente della vita sociale. Il tempo di una sigaretta. Il tempo che la mela produca il suo marciume. Il tempo che nasca un capello bianco. Il tempo che il colore sbiadisca. Il tempo che il ferro arrugginisca. Il tempo che la pancia cresca. Il tempo che l’odore svanisca. Il tempo che la lancetta si sposti da un punto all’altro nello spazio. Dall’immediato all’utile. Il puro movimento si rifrange attraverso lo spazio virtuale. Seguendo questo sentiero per Bergson la ricerca filosofica assume una funzione molto precisa, nuova: farsi ancella dell’intuizione in grado di cogliere la durata, di cogliere quella realtà che si mostra autenticamente, cioè, non l’azione in quanto finalizzata ad un fine, ma l’azione in quanto completamente inutile! L’intuizione diventa l’organo stesso della metafisica, cioè consente di cogliere non il passaggio dal divenire all’immutabile, ma il passaggio dall’immutabile al divenire, consente di cogliere l’assoluto in quanto processo creativo e innovativo.