Dal Lacan I al Lacan II

Riprendiamo il passaggio finale dell’ultimo posto: l’inconscio è razionale, è un logos dove gli inciampi, gli equivoci, i paradossi sono gli stessi che incontriamo nella logica:

«L’effetto di linguaggio è la causa introdotto nel soggetto. Grazie a tale effetto egli non è causa di se stesso, ma porta in sé il verme della causa che lo scinde. Perché la sua causa è il significante senza il quale non ci sarebbe alcun soggetto nel reale. Ma questo soggetto è ciò che il significante rappresenta, e il significante non sa rappresentare niente che per un altro significante: cui si riduce allora il soggetto che ascolta. Dunque, al soggetto non si parla. C’è che parla, ça parle, di lui, ed è lì che egli si apprende, e tanto più in quanto, prima di sparire come soggetto sotto il significante che diviene per il solo fatto che c’è, ça, chi si rivolge a li, egli non era assolutamente niente. Ma questo niente, questo rien, si regge sul suo avvento, ora prodotto dall’appello rivolto nell’Altro al secondo significante» [11]

Questo implica un altro passaggio fondamentale: dalla nozione di coscienza, fondamentale nel pensiero occidentale, Lacan passa a quella di soggetto. Dal “Penso dunque sono” nel senso di coscienza di pensare come coincidente con la coscienza di essere in quanto soggetto dei miei pensieri che appunto coincidono con la mia coscienza, Lacan propone il concetto di soggetto dell’inconscio.

«Noi diciamo che non c’è nulla di comune quando ci si fonda su un’oggettività psicologica, foss’anche estesa dagli schemi di una psicopatologia, e che questo caos non è altro che il riflettore atto a rivelare l’errore centrale della psicologia. L’errore di considerare come unitario il fenomeno stesso della coscienza, di parlare di una stessa coscienza, considerata come potere di sintesi, a proposito della superficie luminosa di un campo sensoriale, dell’attenzione che lo trasforma, della dialettica del giudizio e della rêverie comune. […] Di questa esperienza il cogito cartesiano è la principale impresa, terminale forse, in quanto raggiunge una certezza di sapere. Ma così esso non fa che denunciare meglio ciò che il momento su cui poggia ha di privilegiato, e quanto sia fraudolento estenderne il privilegio, per dar loro uno statuto, ai fenomeni provvisti di coscienza.»[1]

Il Lacan di Funzione e campo della parola e del linguaggio va decisamente verso un’altra strada, infatti, quando parla di soggetto ne parla in termini di alienazione dalla propria verità. Cioè, trovando le parti mancanti della propria storia è possibile accedere alla verità, ovvero cercando proprio «lo spazio marcato da un bianco o occupato da una menzogna: è il capitolo censurato. Ma la verità può essere ritrovata; il più spesso è già scritta altrove.»[2] Le parti mancanti di cui qui parla sono proprio quelle che non accedono alla coscienza.  Quindi la clinica che troviamo in Funzione e campo punta a una idea di psicoanalisi fondata sulla ricerca nei ricordi, nella propria storia, nei “documenti d’archivio”.

Ma la verità in analisi non si palesa mai. Non è possibile dire alcunché sul godimento, manca la verità su di esso, è insensato anche se è possibile coglierne la logica (basti pensare ai 4 discorsi): ecco il declino dell’Edipo e con esso il declino del fallo. Questo segna il passaggio dalla verità come fallo (il significante dei significanti dove cioè confluirebbero tutte le significazioni) alla verità come castrazione, come mancanza, in fondo la catena significante S1-S2 si fonda sull’operazione di sostituzione metaforica o sullo slittamento metonimico senza arrivare mai a un punto definitivo.

«Come avviene questo passaggio dal Lacan I al Lacan II? Il Lacan I è quello che ha messo in evidenza l’effetto di senso e l’effetto di verità della parola, della catena significante, e questo resta il punto cardine del suo insegnamento. Egli aggiunge, in questo seminario, che accanto all’effetto di senso, di verità o di significato, c’è un effetto di godimento. È così che si possono decifrare i quattro termini del discorso del padrone»[3].

La verità così non è più un obiettivo della clinica psicoanalitica, infatti, nella catena significante non è possibile reperire la verità del godimento. La verità si coglie solo nel momento della castrazione, nel momento in cui il godimento è svanito. L’inconscio non è solo riconducibile alla catena significante: c’è qualcosa che si ripete, è la marcatura che produce effetto di godimento e che va al di là di S1-S2, anzi, che s’intromette nel processo di sostituzione e combinazione di S1-S2.

«Cos’è che Lacan chiama S1-S2? È il minimo della catena significante a partire dalla definizione saussuriana del significante: il significante è una posizione differenziale, nel senso che esso si pone opponendosi, si pone per differenza: è questo il carattere del significante che Saussure definisce diacritico. Il significante da solo non esiste, e il suo minimo è due. È questo che Lacan scrive con S1-S2: scrive la coppia significante come il minimo dell’articolazione significante. se gli si dà un valore temporale e si dice: anzitutto il primo e in seguito il secondo, è difficile chiamare il primo con il nome di significante e vedrete che in questo seminario Lacan lo chiama con il termina di marca, perché la marca diventa significante solo a partire dal secondo»[4]

Qui l’intervento clinico più che dirigersi verso l’interpretazione delle catene significanti cerca di far emergere le “marche” che affiorano quando S1 si separa da S2 e che marcano il corpo e così facendo è possibile estrarre qualcosa del godimento. Infatti, come scrive Miller:

«Lacan aggiunge un piccolo a, che vuol dire nel suo linguaggio che oltre [agli] effetti di senso e di verità c’è un effetto di godimento (jouissance). Per fare equivoco, lo ha scritto jouis-sens (godi-senso). Accanto al senso che è fatto, almeno si crede, per essere compreso, c’`e in più un senso goduto […].»[5]

Non è il senso a guidare la clinica ma la scrittura, i solchi lasciati dal significante nel corpo: la pulsione. È una scrittura impossibile se la si prova a leggere a partire dal senso o dalla ricerca della verità. Ma se ne può cogliere la logica, è quello che Lacan fa attraverso i 4 discorsi, che colgono il funzionamento in gioco nel rapporto del significante con il godimento. Quindi a niente può servire analizzare i fantasmi ricercando una verità disvelatrice, come per Esempio Freud fa con l’Uomo dei lupi: alla fine c’è sempre un impossibile a dirsi, qualcosa di impossibile da cogliere nel fantasma che è sia una protezione che una finestra sull’impossibile a dirsi del godimento, del reale.

Nel Seminario IV Lacan parla della madre simbolica in quanto connessa alla dinamica assenza/presenza. Essa ha in sé gli oggetti reali, proprio come se fosse un contenitore simbolico. La madre quando non risponde più con regolarità, quando non rispetta il ritmo assenza/presenza, quando cioè fa i capricci, si trasforma in un reale refrattario al simbolico. È questo il momento in cui l’oggetto, invece, da reale diventa simbolico. Quindi, schematicamente, la madre da simbolica diventa reale e l’oggetto, da reale diventa simbolico. È il momento questo in cui il bambino per controllare questa situazione spiacevole della madre che va e viene quando lei vuole, lancia il rocchetto e il Fort-Da, l’andata e il ritorno, lo aiutano a governare la situazione dolorosa dovuta al distacco della madre che si assenta. Il Fort-Da conferisce al bambino un potere simbolico, è lui a lanciare il rocchetto, è un tentativo di padroneggiare il dolore della separazione. Questa è la lettura di Freud che è stata fino a un certo punto quella di Lacan, infatti,

«Nel 1958 per esempio, egli diceva che “la coazione a ripetere scoperta da Freud è stata da lui identificata con l’insistenza di una verità che grida nel deserto dell’ignoranza”. In quel momento Lacan legava la coazione a ripetere con l’insistenza della verità»[6]

Invece, nel Seminario XVII «[…] la coazione a ripetere come funzione, egli la decifra invece a partire dal godimento: là dove vedeva l’effetto di verità, vede invece un effetto o, meglio, un prodotto di godimento.»[7]

È qui che avviene un rovesciamento della psicoanalisi, cioè «[…] “una riduzione economica del campo del godimento”, a partire dalla ripetizione, e di mettere tutto questo a nudo.»[8]

E quindi, riprendendo l’esempio del Fort-Da freudiano, Lacan lo ritraduce in termini di godimento, cioè:

«marcando anzitutto il posto e il fascino, per il soggetto, di questo tempo di dispiacere. È appunto la soddisfazione misteriosa trovata nel dispiacere che Lacan chiama godimento. Ecco perché egli pone a più riprese la questione del masochista, di colui che sa in effetti il profitto, il soddisfacimento che trae dalla sofferenza, ma, come dice Lacan, solo un po’ di sofferenza, solo un farsi fare un po’ male da un altro scelto su misura e soprattutto molto obbediente.»[9]

Obbediente come il rocchetto che va e viene a comando così fa la frusta tanto cara al masochista, inizia con il solletico ma può finire con una vampata di fuoco distruttiva:

«[…] il solletico, la frusta come altrettante marche impresse sul corpo, con un carattere piò o meno permanente, raffigurano in un certo modo come bisogna che sia questa marca, che può andare fino alla distruzione, negli estremi della passione: occorre una marca sul corpo per estrarre dalla sua omeostasi una sofferenza squisita. Lacan vede nel masochismo il paradigma di questa estrazione di godimento. Questo è solo un esempio, certo , potete tenerlo in serbo per capire in che senso egli faccia del suo S1, il significante che contemporaneamente provoca e commemora una irruzione di godimento, nel senso del Fort del bambino che, per il tramite di questo significante, conserva contemporaneamente la memoria della perdita e quella della gratificazione del ritorno. La definizione che Lacan propone di ciò che si chiama il tratto unario è quella del significante privo del suo correlativo, che non è veramente un significante conforme alla definizione, ma che richiede evidentemente un S2, come il Fort richiede il Da, e finalmente come il Fort richiama la coppia Fort-Da e questo S2 è esso stesso la coppia Fort-Da. Questo vi chiarirà, in corto circuito, ciò che in partenza può sembrare sorprendente nel detto di Lacan: il sapere è un mezzo di godimento. è tramite il significante e anzitutto tramite la marca che si estrae il godimento. Questa tesi, il sapere è un mezzo di godimento, corregge quello che Lacan aveva detto negli anni precedenti, che la catena significante ha effetti di verità. »[10]


[1] Ivi, 834.

[2] J. Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, Torino, Einaudi, 1974, Vol. I, p. 252

[3] J. Lacan, Il seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi. 1969-1970, Torino, Einaudi, 2001, p. 279.

[4] Ibidem.

[5] Ivi, p. 280.

[6] Ivi, 281.

[7] Ibidem.

[8] Ivi, p. 283.

[9] Ivi, p. 284.

[10] Ivi, 285.

[11] J. Lacan, Posizioni dell’inconscio, in Scritti, Torino, Einaudi, 1974, Vol. II, p. 838-839