È interessante evidenziare come il perno della metafora paterna è il fallo in quanto significante della mancanza che consente al bambino di disidentificarsi dall’oggetto del desiderio materno, il fallo immaginario, per far emergere il fallo simbolico come significante del desiderio che apre a una mancanza. Desidero qualcosa perché qualcosa manca e questo implica una insoddisfazione strutturale alla condizione del soggetto: è impossibile arrivare all’oggetto del desiderio. L’oggetto è mancante ma questo non vuol dire che sia raggiungibile in un qual si voglia ideale: non è questa la strada che ci propone la psicoanalisi. Il fantasma, infatti, ciò che fa da supporto al desiderio, ridotto nei suoi effetti, produce qualcosa in grado di fare da contorno al buco creato da questa mancanza[1]. Con Lituraterre Lacan inaugura l’al di là dell’Edipo[2]. Nell’al di là del Padre non c’è ideale che tenga e l’armonia annunciata dalla presenza di Dio viene meno; questo segna il passaggio dalla mancanza d’essere (intesa come attraversamento del fantasma e incontro della castrazione come segno di fine analisi) all’idea di “buco”. Se la mancanza aveva un ipotetico posto nell’ideale (del Padre edipico) il buco non ha un posto.
Si potrebbe dire che quando il soggetto comprende che nel fallo non c’è nessun soddisfacimento inizia il lutto che fa emergere un buco nel reale:
«La dimensione veramente intollerabile offerta all’esperienza umana non è l’esperienza della morte, che nessuno ha, bensì quella della morte di un altro, che sia per voi un essere essenziale. Una simile perdita costituisce una Verwerfung, un buco, ma nel reale. Per la stessa corrispondenza che articolo nella Verwerfung, questo buco offre il posto in cui si proietta precisamente il significante mancante. Si tratta qui del significante essenziale alla struttura dell’Altro, quello la cui assenza rende l’Altro impotente a darvi la vostra risposta. Tale significante potete pagarlo soltanto con la vostra carne e con il vostro sangue. È essenzialmente il fallo sotto il velo».[3]
Nel declino dell’Edipo, nel suo superamento, viene meno l’interesse narcisistico per il fallo e ciò crea le condizioni per la nascita del soggetto che sacrifica ciò che egli non è: il fallo. Inoltre, rispetto al desiderio, è opportuno ricordare il passaggio cruciale che Lacan fa nel Seminario X dove l’oggetto non è più la meta per quanto impossibile e sempre mancante da raggiungere ma è causa stessa del desiderio. È una concezione rivoluzionaria rispetto a quella del desiderio come infinita metonimia causata dall’oggetto che sempre manca. Nel Seminario X sull’angoscia l’oggetto non manca ma pressa, si impone facendo sorgere il desiderio, pur non essendo un oggetto a disposizione del soggetto. È l’oggetto che buca la realtà cogliendo qualcosa del soggetto al di là di ciò che possiamo rappresentarci o dire.
Tutto ciò, come accennavo prima, apre una nuova concezione dell’inconscio che in Lacan, a un certo punto della sua ricerca, non è più concepito come la negazione di una affermazione (coscienza), l’inconscio non dipende dalla coscienza, è ciò che elabora in Posizioni dell’inconscio[4], dove dice chiaramente che l’inconscio «Non è una specie che definisce, nella realtà psichica, il cerchio di ciò che non ha l’attributo, (o la virtù) della coscienza»[5]. A questa idea Lacan ne aggiunge un’altra molto importante e cioè che l’inconscio non è la condizione per il linguaggio (come sosteneva il suo allievo Laplanche) ma esattamente il contrario: è il linguaggio la condizione dell’inconscio. Solo la presenza del linguaggio rende possibili effetti di linguaggio. L’inconscio è razionale, è un logos dove gli inciampi, gli equivoci, i paradossi sono gli stessi che incontriamo nella logica:
«L’effetto di linguaggio è la causa introdotto nel soggetto. Grazie a tale effetto egli non è causa di se stesso, ma porta in sé il verme della causa che lo scinde. Perché la sua causa è il significante senza il quale non ci sarebbe alcun soggetto nel reale. Ma questo soggetto è ciò che il significante rappresenta, e il significante non sa rappresentare niente che per un altro significante: cui si riduce allora il soggetto che ascolta. Dunque, al soggetto non si parla. C’è che parla, ça parle, di lui, ed è lì che egli si apprende, e tanto più in quanto, prima di sparire come soggetto sotto il significante che diviene per il solo fatto che c’è, ça, chi si rivolge a li, egli non era assolutamente niente. Ma questo niente, questo rien, si regge sul suo avvento, ora prodotto dall’appello rivolto nell’Altro al secondo significante»[6]
[1] J. Lacan, Lituraterra, in Altri Scritti, Torino, Einaudi, 2013, p. 12.
[2] J. Lacan, Il Seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi, Torino, Einaudi, 2001
[3] J. Lacan, Il Seminario. Libro VI, Il desiderio e la sua interpretazione, Torino, Einaudi, 2016, p. 371.
[4] J. Lacan, Posizioni dell’inconscio, in Scritti, Torino, Einaudi, 1974, Vol. II
[5] Ivi, p. 833
[6] Ivi, pp. 838-839