Clinica psicoanalitica

I disturbi visivi psicogeni nell’interpretazione psicoanalitica (1910) 289-95. Si considera la cecità isterica il prototipo dei disturbi visivi psicogeni. Nell’isterica la rappresentazione di essere cieca nasce spontaneamente. Nei malati predisposti all’isteria sussiste sin dall’inizio una tendenza alla dissociazione – alla dissoluzione dei nessi nell’accadere psichico – in conseguenza della quale alcuni processi inconsci non giungono a inoltrarsi sino alla coscienza. Gli isterici non sono ciechi in seguito alla rappresentazione autosuggestiva di non vedere, ma in seguito alla dissociazione tra processi inconsci e consci nell’atto visivo. Gli occhi non percepiscono soltanto le modificazioni del mondo esterno che sono importanti per la conservazione della vita, ma anche le qualità degli oggetti – vale a dire le loro attrattive – per cui questi vengono scelti come oggetti d’amore. Quanto più intima è la relazione che un organo dotato di una simile duplice funzione stabilisce con una delle grandi pulsioni, tanto più esso si rifiuta all’altra pulsione. Questo principio genera immancabilmente conseguenze patologiche se le due pulsioni fondamentali si sono divise e se da parte dell’Io viene mantenuta una rimozione nei confronti della corrispondente pulsione sessuale parziale. Se un organo che serve a entrambe le pulsioni accresce la propria funzione erogena, dobbiamo aspettarci che, in ogni caso, ciò non accada senza modificazioni dell’eccitabilità e dell’innervazione, le quali si manifesteranno come disturbi della funzione dell’organo al servizio dell’Io.

Contributi a una discussione sul suicidio (1910)

301-02

Se i suicidi giovanili non riguardano soltanto gli allievi delle scuole secondarie ma anche apprendisti e altri, questa circostanza di per sé non assolve la scuola secondaria; essa esige forse l’interpretazione che la scuola secondaria sostituisca per i suoi allievi i traumi che altri adolescenti subiscono in condizioni di vita diverse. La scuola secondaria deve offrire ai suoi studenti appoggio e sostegno in un periodo della loro esistenza in cui sono costretti ad allentare i loro legami con la casa paterna e la famiglia. La scuola non fa questo, e per molti aspetti rimane al di sotto del suo compito, che è di offrire un sostituto della famiglia e di suscitare l’interesse per la vita che si svolge fuori, nel mondo. La scuola non deve mai dimenticare di aver a che fare con individui ancora immaturi, ai quali non è lecito negare il diritto di indugiare in determinate fasi, seppure sgradevoli, dello sviluppo.

Lettera al dottor F. S. Krauss a proposito della rivista “Anthropophyteia” (1910)

307-08

La rivista su cui comparve la lettera di Freud pubblicava materiale antropologico a carattere sessuale. Al direttore, che gli aveva chiesto a quale valore scientifico potessero pretendere le raccolte di scherzi, motti di spirito, facezie erotiche ecc., Freud risponde che le storielle e facezie erotiche raccolte nei volumi di “Anthropophyteia” certamente sono state prodotte e ripetute soltanto perché hanno procurato piacere ai narratori nonché agli ascoltatori. Le storielle offrono un ragguaglio diretto su quali pulsioni parziali della sessualità si sono conservate in un determinato gruppo di individui, in quanto particolarmente idonee al conseguimento di piacere; esse costituiscono così la più brillante conferma delle conclusioni raggiunte dall’indagine psicoanalitica di persone nevrotiche. Secondo la psicoanalisi, la regione anale è sede di una sensibilità erogena; “Anthropophyteia” conferma come gli uomini, in modo assolutamente generale, pongano con piacere l’accento su questa regione del corpo, indugiando sulle sue prestazioni e addirittura sul prodotto della sua funzione. La psicoanalisi chiama “complesso” una trama di rappresentazioni e l’affetto che a essa si connette, e non esita ad affermare che molti dei motti di spirito più apprezzati sono “complessuali” e devono il loro effetto liberatorio e rasserenante all’abile messa a nudo di complessi solitamente rimossi. È lecito dunque affidarsi alla speranza che il valore del folklore per la psiche venga sempre più chiaramente riconosciuto e che i rapporti tra questa indagine e la psicoanalisi si facciano presto più intimi.

Esempi del modo come si tradiscono le fantasie patogene nei nevrotici (1910)

313

Un malato di circa vent’anni presentava un quadro evidente di dementia praecox (ebefrenia). Nelle fasi iniziali della malattia si erano manifestati periodici cambiamenti di umore. Aveva poi raggiunto un notevole miglioramento, tanto che i genitori l’avevano fatto uscire dall’istituto. A una settimana di festa seguì di colpo il peggioramento. Riportato all’istituto, raccontò che il consulente medico lo aveva consigliato di civettare un po’ con sua madre. È indubbio che con questa illusione mnestica delirante egli aveva dato espressione all’eccitamento che lo stare con la madre aveva prodotto in lui, e che era anche la causa immediata del suo peggioramento. Un altro caso risaliva a più di dieci anni addietro, quando i risultati e le ipotesi della psicoanalisi erano noti solo a poche persone. Una ragazza, figlia di un medico, si era ammalata di isteria con sintomi localizzati. Una volta un’amica le aveva chiesto: “Non ha ancora pensato di consultare il dottor F.?” La malata rispose che egli le avrebbe chiesto se le era già venuta l’idea di avere rapporti sessuali con suo padre. Freud assicura che non rientrava nelle sue abitudini formulare simili domande, ma richiama l’attenzione sul fatto che gran parte di quel che i pazienti riferiscono come espressioni o azioni dei medici, può essere considerato una rivelazione delle loro fantasie patogene.

Recensione a “Lettere a donne nervose” di W. Neutra (1910)

319

Il libro non può essere accolto come un fenomeno incoraggiante. L’autore, che è medico assistente all’Istituto idroterapico di Gainfarn presso Vienna, ha mutuato la forma degli Psychoterapeutische Briefe di Oppenheim e l’ha trasferita a un contenuto psicoanalitico. L’autore non riesce a raggiungere i pregi del suo modello – sensibilità e serietà morale – e nella sua esposizione della teoria psicoanalitica cade spesso in una vuota retorica rendendosi anche responsabile di alcune affermazioni erronee. Ciò nonostante, molto di quanto egli scrive è espresso in modo chiaro e adeguato, e il libro può raccomandarsi come opera divulgativa.

Psicoanalisi “selvaggia” (1910)

325-31

Una signora di mezza età si presentò a Freud accusando stati d’angoscia. Motivo occasionale dell’insorgere dello stato morboso era stata la separazione dal suo ultimo marito; ma l’angoscia si era considerevolmente accentuata dopo che aveva consultato un giovane medico, giacché questi le aveva dichiarato che la causa della sua angoscia erano le sue esigenze sessuali. I consigli del medico alla signora fanno capire in che senso egli intendesse la “vita sessuale”: i bisogni sessuali altro non sono che il bisogno del coito o di analoghe manovre che determinano l’orgasmo e l’emissione della sostanza seminale. Il concetto di sessualità in psicoanalisi è assai più ampio: appartengono alla vita sessuale anche tutte le manifestazioni di sentimenti affettuosi, provenienti dalla fonte dei primitivi impulsi sessuali. Per questa ragione gli psicoanalisti preferiscono parlare di psicosessualità, in quanto tengono a che non si trascuri o sottovaluti il fattore psichico della vita sessuale. Stando ai consigli del medico, la signora sarebbe dovuta guarire dalla sua angoscia soltanto tornando dal marito, oppure soddisfacendosi con la masturbazione o con un amante. È un concetto da lungo tempo superato, quello secondo il quale l’ammalato soffrirebbe per una specie d’insipienza, per cui, se si elimina questa insipienza fornendogli informazioni, egli dovrebbe guarire. Non è un tale “non sapere” di per sé stesso il fattore patogeno, ma la radice di questo “non sapere” nelle resistenze interne del malato. Il compito della terapia consiste nel combattere queste resistenze. Un intervento psicoanalitico presuppone un contatto abbastanza lungo con l’ammalato. Anzitutto, l’ammalato deve giungere egli stesso in prossimità di quanto è stato da lui rimosso; inoltre, il suo attaccamento al medico (traslazione) deve essere giunto a un punto tale da far sì che il rapporto sentimentale con lui renda impossibile il rinnovarsi della fuga nella nevrosi. Questi analisti “selvaggi” recano più danno alla causa della psicoanalisi che non ai singoli pazienti.

Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia (dementia paranoides) descritto autobiograficamente (Caso clinico del presidente Schreber) (1910)

432-62

  1. Storia della malattia

Nella premessa Freud afferma che l’indagine psicoanalitica della paranoia sarebbe impossibile se i malati non avessero la prerogativa di tradire, sia pure in modo deformato, ciò che gli altri nevrotici tengono celato come un segreto. La prima malattia del dottor Schreber si manifestò nell’autunno 1884 e alla fine del 1885 poteva dirsi completamente risolta. La seconda malattia si manifestò alla fine di ottobre del 1893 e peggiorò rapidamente. Le suggestioni morbose lo assorbivano a tal punto che se ne stava per ore del tutto immobile, inaccessibile a qualunque altra impressione. Le idee deliranti assunsero gradualmente un carattere mistico e religioso. Il paziente si riteneva perseguitato e danneggiato da varie persone, primo fra tutti il suo medico curante Flechsig, a cui indirizzava abbondanti contumelie. A partire dal 1899 il paziente era cambiato a tal segno che ormai si considerava capace di governare la sua esistenza da solo, e avviò da solo le pratiche dirette a ottenere la revoca della sua interdizione e la dimissione dall’istituto di cura. Nella sentenza che restituì a Schreber la libertà, il contenuto del suo sistema delirante è riassunto in poche frasi: “Egli ritiene di essere chiamato a redimere il mondo e a restituire ad esso la perduta beatitudine, a condizione però di trasformarsi da uomo in donna.” La fantasia di evirazione era di natura primaria e originariamente indipendente dall’idea di redenzione. La trasformazione in donna era stato il nucleo originario del suo sistema delirante. Schreber pensava che fosse stato preparato un complotto contro di lui, con lo scopo, una volta riconosciuta l’incurabilità della sua malattia, di consegnarlo a una persona in modo che la sua anima fosse abbandonata nelle sue mani, e il suo corpo fosse poi trasformato in corpo femminile, e in quanto tale abbandonato nelle mani di quella persona perché ne abusasse sessualmente. Freud discute a lungo l’atteggiamento di Schreber nei confronti di Dio: un misto di venerazione e ribellione. La trasformazione in donna e il rapporto privilegiato con Dio erano collegati, nel suo sistema delirante, mediante l’atteggiamento femminile verso Dio. Pertanto occorreva dimostrare che fra questi due elementi esisteva una relazione genetica essenziale.

363-84

  1. Tentantivi d’interpretazione

Il caso di Schreber aveva in origine il carattere di un delirio di persecuzione, che si attenuò solo dal momento in cui la malattia ebbe una svolta. Nel periodo di incubazione (dal giugno all’ottobre 1893) Schreber sognò ripetutamente che la sua passata malattia nervosa era tornata. Flechsig, secondo il malato, aveva commesso o tentato un “assassinio dell’anima” su di lui, cioè un atto paragonabile in un certo senso agli sforzi del Diavolo e dei demoni per impadronirsi di un’anima. La causa immediata della malattia fu una fantasia di desiderio femminile (cioè omosessuale passiva) che aveva scelto come oggetto la persona del medico. La personalità di Schreber aveva opposto un’intensa resistenza contro questa fantasia, e la lotta difensiva che ne è risultata ha assunto la forma del delirio di persecuzione. La persona agognata diventa ora il persecutore, e il contenuto della fantasia di desiderio diventa il contenuto della persecuzione. La lotta del paziente con Flechsig si rivela al malato stesso come un conflitto con Dio, che va tradotto come conflitto infantile col padre amato, conflitto le cui caratteristiche sono state determinanti per il contenuto del delirio. Nella fase finale del delirio di Schreber la tensione sessuale infantile celebra un trionfo grandioso: la voluttà diventa timorata di Dio e Dio stesso (il padre) non si stanca mai di chiederla al paziente. Proprio la minaccia paterna maggiormente temuta, e cioè quella dell’evirazione, ha fornito materia alla fantasia di desiderio avente per oggetto la trasformazione in donna.

385-403

  1. Il meccanismo della paranoia

Il segno distintivo della paranoia va individuato nella forma in cui si manifestano i sintomi. Nella paranoia l’etiologia sessuale non è evidente; al contrario, specie nell’uomo, gli elementi più vistosi che paiono aver dato origine alla paranoia sono le umiliazioni e le sconfitte sociali. Il fattore che ha determinato questi danni di carattere sociale è stato proprio il concorso della componente omosessuale nella vita sentimentale del paziente. La fantasia di desiderio omosessuale di amare un uomo costituisce il centro del conflitto della paranoia. Le principali forme conosciute di paranoia possono tutte essere rappresentate come contraddizioni dell’unica proposizione: “Io (un uomo) amo lui (un uomo)” e in effetti esauriscono ogni formulazione possibile di questa contraddizione. La proposizione è contraddetta da: a) delirio di persecuzione: b) erotomania; c) gelosia (delirio di gelosia dell’alcolizzato e delirio di gelosia nella donna). È possibile costatare come un elemento del delirio di grandezza si ritrovi in quasi tutte le altre forme di sofferenza paranoica. Nella formazione del sintomo paranoico la caratteristica più vistosa è data dal processo al quale spetta il nome di proiezione. In psicoanalisi si fanno derivare i fenomeni patologici, in genere, dalla rimozione. Il processo della rimozione è scomponibile in tre fasi: fissazione, rimozione propriamente detta, irruzione o ritorno del rimosso. Freud infine precisa che le nevrosi scaturiscono da un conflitto tra l’Io e la pulsione sessuale, e le forme che esse assumono serbano l’impronta dell’evoluzione seguita sia dalla libido sia dall’Io.

404-06

Poscritto (1911)
Scrivendo il saggio sul presidente Schreber Freud si è deliberatamente contenuto il più possibile nell’interpretazione. Dopo la pubblicazione di questo studio, per un casuale arricchimento delle proprie cognizioni Freud è stato in grado di valutare meglio una delle credenze deliranti di Schreber e di riconoscervi una varietà di nessi con la mitologia: i rapporti particolari che l’ammalato crede di avere con il sole, un “simbolo paterno” sublimato. Quando Schreber si vanta di fissare impunemente il sole senza restarne abbagliato, ha riscoperto un’espressione mitologica per significare il suo rapporto filiale nei confronti del sole, fornendo un’ulteriore conferma alla concezione che indica il sole come simbolo del padre.

Contributi alla psicologia della vita amorosa (1910-17)

411-20

Se un tipo particolare di scelta oggettuale ell’uomo

Nel corso dei trattamenti psicoanalitici si presenta spesso l’occasione di raccogliere impressioni sulla vita amorosa dei nevrotici. Viene inizialmente descritto un tipo di scelta oggettuale maschile, poiché esso si distingue per una serie di “condizioni amorose”, cioè condizioni richieste all’oggetto d’amore. La prima di queste condizioni può essere chiamata la condizione del “terzo danneggiato”; il suo contenuto sta nel fatto che la persona interessata non sceglie mai come oggetto amoroso una donna che sia ancora libera, ma soltanto una donna su cui un altro uomo possa far valere un diritto di possesso. La seconda condizione consiste nel fatto che non è mai la donna casta e irreprensibile a esercitare il fascino che la innalza a oggetto d’amore, ma soltanto quella che in qualche modo ha una dubbia fama sessuale, per cui si può dubitare della sua fedeltà e affidabilità. Questa condizione è in rapporto con l’attivazione della gelosia. Viene poi considerato il comportamento dell’amante verso l’oggetto della sua scelta. Nella vita amorosa normale il valore della donna è determinato dalla sua integrità sessuale e diminuito dal suo accostarsi al carattere delle donne di facili costumi. Sembra quindi una vistosa deviazione dalla normalità trattare donne con queste caratteristiche come oggetti amorosi di supremo valore. Infine, ciò che più sorprende l’osservatore è la tendenza, manifesta nell’innamorato di questo tipo, a “salvare” l’amata. Questa scelta oggettuale così singolarmente determinata e la sorprendente condotta amorosa che ne deriva hanno la stessa origine psichica che si riscontra nella vita amorosa della persona normale; entrambe scaturiscono dalla fissazione infantile della tenerezza rivolta alla madre e costituiscono uno degli esiti di questa fissazione. Gli oggetti d’amore sono surrogati materni. A causa delle connessioni esistenti tra il motivo del salvataggio e il complesso parentale, la tendenza a salvare l’amata costituisce un tratto essenziale del modo tipico di amare qui descritto.

421-32

Sulla più comune degradazione della vita amorosa

L’impotenza psichica colpisce uomini di natura fortemente libidinosa e si manifesta nel fatto che gli organi esecutivi della sessualità rifiutano il compimento dell’atto sessuale. Il malato si accorge di fallire nel suo tentativo solo con determinate persone. Il fondamento del male è un’inibizione verificatasi durante la storia evolutiva della libido, prima cioè che la libido assumesse la forma che si può definire normale. Non si sono fuse due correnti, dal cui incontro soltanto risulta assicurato un comportamento amoroso del tutto normale: la corrente di tenerezza e quella sensuale. La corrente di tenerezza deriva dai primissimi anni dell’infanzia, si è formata sul terreno degli interessi della pulsione di autoconservazione e si rivolge ai membri della famiglia. Queste fissazioni di tenerezza del bambino continuano per tutta l’infanzia e implicano ogni volta un certo erotismo, che in tal modo viene distolto dalle sue mete sessuali. Nel periodo della pubertà vi si aggiunge la potente corrente “sensuale”, che non disconosce più le sue mete. Due sono i fattori che determinano il fallimento di questo progresso nel corso evolutivo della libido: 1) il grado di frustrazione nella realtà; 2) il grado di attrazione che possono esercitare gli oggetti infantili da abbandonare. Il comportamento amoroso dell’uomo nel nostro mondo civile è improntato a impotenza psichica. Il freno imposto dalla civiltà alla vita amorosa comporta un’universale degradazione degli oggetti sessuali. La differenza incolmabile tra le esigenze delle due pulsioni – quella sessuale e quella egoistica – rende gli uomini capaci di creazioni sempre maggiori, pur sotto un costante pericolo al quale i più deboli soccombono in forma di nevrosi.

433-48

Il tabù della verginità

Per i primitivi la deflorazione è un atto importantissimo, che è divenuto oggetto di un tabù, di un divieto che si deve definire religioso. Invece di riservarlo allo sposo e futuro marito, il costume esige che costui eviti di compiere tale atto. Il primo tentativo di spiegazione fa quindi riferimento all’orrore del sangue tra i primitivi, che considerano il sangue la sede della vita. Una seconda spiegazione suggerisce che l’uomo primitivo sia preda di una perpetua disposizione all’angoscia, sempre in agguato: proprio ciò che nella storia psicoanalitica delle nevrosi noi pensiamo di coloro che soffrono di nevrosi d’angoscia. Una terza spiegazione pone attenzione al fatto che il tabù della verginità appartiene a un ampio contesto che abbraccia l’intera vita sessuale. Dove l’uomo primitivo ha posto un tabù, là egli teme un pericolo, ed è indiscutibile che in tutti questi obblighi si esprima un timore aprioristico di fronte alle donne. Al tabù sottostà chiarissimamente l’intenzione di rifiutare o risparmiare proprio al futuro marito qualcosa che non si può dissociare dal primo atto sessuale. Il primo coito mobilita una serie di impulsi, tutti inutilizzabili ai fini dell’atteggiamento femminile desiderato. La deflorazione non ha la sola conseguenza, dovuta all’incivilimento, di legare durevolmente la donna all’uomo; essa scatena anche una reazione arcaica di ostilità verso l’uomo, la quale può assumere forme patologiche che si manifestano abbastanza di frequente attraverso fenomeni inibitori della vita amorosa nel matrimonio, e alla quale si può ascrivere il fatto che le seconde nozze così spesso riescono meglio delle prime.

Precisazioni sui due princìpi dell’accadere psichico (1911)

453-60

In questo breve scritto, fondamentale per la dottrina psicoanalitica, è descritta la contrapposizione fra i processi primari, dominati dal principio di piacere, e i processi secondari, guidati dal principio di realtà. Ogni nevrosi ha l’effetto di sospingere l’ammalato fuori dalla vita reale. Il nevrotico si isola dalla realtà perché la trova intollerabile. Il caso limite di questo distacco ci è offerto da alcune forme di psicosi allucinatoria, nelle quali deve venir negato proprio l’episodio che ha provocato la follia. Nella psicologia fondata sulla psicoanalisi, si è abituati a prendere come punto di partenza i processi psichici inconsci, considerati come i processi più antichi, primari. La suprema tendenza a cui obbediscono questi processi psichici può essere indicata come principio di piacere. L’instaurazione del principio di realtà ha costituito un passo denso di conseguenze. L’accresciuta importanza della realtà esterna ha elevato l’importanza degli organi di senso e della coscienza, a essi collegata. Con l’introduzione del principio di realtà si è differenziata l’attività del fantasticare, portata avanti nella forma dei sogni a occhi aperti. Il dissolversi del principio di piacere mediante il principio di realtà non si effettua in una volta sola e contemporaneamente su tutta la linea. Così come l’Io-piacere non può far altro che desiderare, adoperarsi al fine di ottenere piacere ed evitare dispiacere, l’Io-realtà non ha altro da fare che mirare all’utile e garantirsi contro ciò che è dannoso. L’educazione può essere descritta come un incitamento a superare il principio di piacere. L’arte perviene a una conciliazione dei due princìpi. Mentre l’Io compie la sua trasformazione da Io-piacere in Io-realtà, le pulsioni sessuali subiscono quelle modificazioni che, attraverso varie fasi intermedie, consentono loro di pervenire dall’iniziale autoerotismo all’amore oggettuale posto al servizio della funzione riproduttiva.

Sogni nel folklore (in collaborazione con D. E. Oppenheim) (1911)

465-87

Il simbolismo usato nei sogni che vengono riferiti dal folklore coincide completamente con quello accettato dagli psicoanalisti. L’uomo della strada accoglie alcuni di questi sogni proprio come li interpreterebbe la psicoanalisi: non, cioè, come predizioni su un futuro ancora da scoprire, ma come appagamenti di desideri, soddisfacimento di esigenze che si manifestano durante il sogno. Il simbolismo del pene compare nei sogni riferiti dal folklore. Il pene è rappresentato come uno scettro, un “grasso lombrico”, un pugnale o un’altra arma affilata. Viene considerato anche il simbolismo fecale, con le azioni oniriche a esso connesse. Nella primissima infanzia le feci sono un materiale assai apprezzato, che serve a soddisfare le pulsioni coprofile. Il residuo più importante di questa precedente stima è costituito però dal fatto che tutto l’interesse che il bambino nutriva per le feci si trasferisce nell’adulto su un altro materiale, che la vita gli insegna a porre al di sopra di qualsiasi altra cosa: l’oro. I sogni riportati dal folklore mostrano nel modo più inequivocabile che l’oro è un simbolo delle feci. Talora il diavolo compare sotto le vesti di donatore di tesori e di seduttore. I sogni di defecazione in cui la vittima è una donna hanno a che fare con l’impotenza. Se chi sogna sente il bisogno di defecare, sogna l’oro, un tesoro. Vengono analizzati alcuni altri sogni, tra i quali uno “di lotteria”. La lotteria simboleggia un contratto matrimoniale.

Sulla psicoanalisi (1911)

493-98

La psicoanalisi è una combinazione insolita, dal momento che comprende non solo un metodo di indagine delle nevrosi, ma anche un metodo terapeutico basato sull’etiologia in tal modo scoperta. La psicoanalisi prese le mosse da ricerche sull’isteria, ma nel corso degli anni si è estesa molto al di là di questo campo di lavoro, dimostrando in modo definitivo che i sintomi isterici sono residui (o reminiscenze) di esperienze profondamente investite di affetto sottratte alla coscienza quotidiana, e che la loro forma è determinata (in modo tale da escludere l’azione deliberata) da alcune particolarità degli effetti traumatici delle esperienze stesse. Le prime indagini psicoanalitiche e i primi tentativi di trattamento furono compiuti con l’aiuto dell’ipnosi. In seguito questa fu abbandonata, e il lavoro proseguì con il metodo delle “associazioni libere”, mentre il paziente restava nel suo stato normale. In tutte le nevrosi i sintomi patologici sono realmente i prodotti finali dei conflitti che hanno causato la “rimozione” e la “scissione” psichica. I sintomi sono generati da diversi meccanismi: come formazioni sostitutive delle forze rimosse; come compromessi tra le forze rimoventi e le forze rimosse; come formazioni reattive o dispositivi di sicurezza contro le forze rimosse.

Il significato della successione delle vocali (1911)

503

Sembra che nei sogni e nelle associazioni certi nomi che si celano vengano sostituiti da altri che con essi hanno in comune soltanto la successione delle vocali. Tuttavia la storia delle religioni offre a questo proposito una sorprendente analogia. Presso gli antichi Ebrei il nome di Dio era “tabù”; non doveva essere né pronunciato né scritto. Questo divieto fu talmente ben rispettato che la vocalizzazione delle quattro consonanti di Dio YHWH è sconosciuta anche oggi. Il nome veniva pronunciato “Jehova”, conferendogli le vocali della parola Adonai (Signore), non proibita.

“Grande è la Diana efesia” (1911)

509-10

L’antica città greca di Efeso nell’Asia Minore era nota nell’antichità soprattutto per il grandioso tempio dedicato ad Artemide (Diana). Secondo quanto testimoniano gli scavi, nel corso dei secoli sorsero nello stesso luogo parecchi templi in onore della divinità. Intorno all’anno 54 dell’era volgare l’apostolo Paolo giunse a Efeso, dove sarebbe rimasto per parecchi anni. Predicò, compì alcuni miracoli e trovò molti seguaci fra il popolo. Perseguitato e accusato dagli Ebrei, se ne staccò per fondare una comunità cristiana indipendente. La chiesa di Efeso fondata da Paolo non gli rimase fedele a lungo. Cadde sotto l’influsso di un uomo, Giovanni, la cui personalità ha posto gravi problemi ai critici. La tradizione lo identifica con l’apostolo Giovanni, al quale viene attribuito il quarto Vangelo. Secondo questo Vangelo Giovanni prese con sé Maria in ubbidienza alle parole che Gesù sulla croce gli aveva gridato: “Ecco, questa è tua madre.” A Efeso sorse quindi, accanto alla chiesa dell’apostolo, la prima basilica in onore della nuova divinità materna dei cristiani. Poi venne la conquista della città da parte dell’lslam, e infine il suo tramonto e la sua devastazione per l’insabbiamento del fiume. Ma la grande dea di Efeso non rinunciò neanche allora al suo diritto. Ancora ai nostri tempi, è apparsa come la Santa Vergine a una pia ragazza tedesca, Katharina Emmerich di Dulmen, descrivendole il suo viaggio a Efeso, la disposizione degli oggetti nella casa che colà abitava e nella quale morì, la forma del suo letto e così via. E la casa e il letto sono stati realmente trovati così come la Vergine li ha descritti e sono meta di pellegrinaggi.

L’impiego dell’interpretazione dei sogni nella psicoanalisi, 1911-12

517-22

Chi giunge alla pratica psicoanalitica dall’interpretazione dei sogni manterrà il suo interesse per il contenuto onirico e sarà perciò animato dall’intenzione di sottoporre ogni sogno che il malato gli racconta a un’interpretazione il più possibile completa. Ci si accontenti del risultato interpretativo che è possibile ottenere di volta in volta nel corso di una seduta, e non si consideri una perdita il fatto di non essere riusciti a identificare il contenuto del sogno nella sua compiutezza. Il giorno successivo non si proceda nel lavoro interpretativo come se fosse una cosa naturale, ma solo nel caso in cui ci si renda conto che nel malato null’altro si è spinto nel frattempo in primo piano. Nel trattamento psicoanalitico l’interpretazione dei sogni non venga esercitata come arte a sé stante, ma il suo impiego venga assoggettato a quelle regole tecniche che guidano in generale lo svolgimento della cura. Quasi tutti i sogni costituiscono un precorrimento dell’analisi, sicché, detrattovi quanto è già noto e comprensibile, ne risulta un accenno più o meno perspicuo a un materiale ancora celato.

Dinamica della traslazione, 1911-12

523-31

Ogni uomo ha acquisito, per l’azione congiunta della sua disposizione congenita e degli influssi esercitati su di lui durante gli anni dell’infanzia, una determinata indole che caratterizza il suo modo di condurre la vita amorosa. Ne risulta per così dire un cliché, che nel corso dell’esistenza viene costantemente ripetuto. Se il bisogno d’amore di un individuo non è stato completamente appagato dalla realtà, egli è costretto ad avvicinarsi con rappresentazioni libidiche anticipatorie a ogni nuova persona che incontra. È dunque normalissimo e comprensibile che l’investimento libidico parzialmente insoddisfatto, tenuto in serbo con grande aspettativa dall’individuo, si rivolga anche alla persona del medico, inserendolo in una delle “serie” psichiche che il paziente ha formato fino a quel momento. Quando un elemento qualsiasi tratto dal materiale del complesso (dal suo contenuto) si presta a essere trasferito sulla persona del medico, si instaura questa traslazione. Deduciamo che questa idea di traslazione è penetrata nella coscienza prima di ogni altra possibile associazione, poiché soddisfa anche la resistenza. La traslazione ci appare così in primo luogo come l’arma più forte della resistenza, e da ciò possiamo trarre la conclusione che l’intensità e la perseveranza della traslazione siano effetto ed espressione della resistenza. La traslazione sul medico è idonea alla resistenza solo se si tratta di traslazione negativa (traslazione di sentimenti ostili) o di traslazione positiva (traslazione di sentimenti affettuosi) di impulsi erotici rimossi.

Consigli al medico nel trattamento psicoanlitico 1911-12

532-41

Il primo compito consiste nel tenere a mente tutti gli innumerevoli nomi, date, dettagli di ricordi e produzioni patologiche che un paziente comunica, non confondendo questo materiale con altro analogo proveniente da altri pazienti analizzati nello stesso tempo o in precedenza. La norma di prendere nota di ogni cosa in modo uniforme è il corrispettivo necessario di quanto si pretende dall’analizzato, e cioè che racconti senza sottoporre a critica e selezione tutto ciò che gli passa per il capo. Freud precisa di non poter raccomandare di prendere molti appunti durante le sedute, di redigere protocolli ecc. A prescindere dall’impressione sfavorevole sul paziente, mentre si trascrive o stenografa si opera una deleteria selezione e si distoglie dall’interpretazione una parte della propria attività mentale. Non è bene elaborare scientificamente un caso fintantoché il suo trattamento non è ancora concluso. La riuscita migliore si ha nei casi in cui si procede senza intenzione alcuna. Il sentimento più pericoloso per lo psicoanalista è l’ambizione terapeutica di riuscire, con il suo strumento nuovo e così aspramente contestato, a fare qualcosa che possa avere un effetto persuasivo su altre persone. Il medico dev’essere opaco per l’analizzato e, come una lastra di specchio, mostrargli solo ciò che gli viene mostrato. Non deve porre in gioco i propri sentimenti. Lo sforzo di utilizzare regolarmente il trattamento psicoanalitico per la sublimazione delle pulsioni non è certamente raccomandabile in tutti i casi. Non devono essere messe alla prova le capacità intellettuali del malato. Attraverso un’attività mentale di tipo riflessivo, attraverso uno sforzo di attenzione, non viene risolto nessuno degli enigmi della nevrosi. Si ottiene un risultato solo attraverso il paziente esercizio della regola psicoanalitica.

Tecnica della psicoanalisi (1911-12)
Modi tipici di ammalarsi nervosamente (1912)

547-54

La causa occasionale più immediata e meglio comprensibile dell’insorgere di una nevrosi sta in quel fattore esterno che può essere genericamente definito frustrazione. L’individuo non si ammala in seguito a una modificazione nel mondo esterno, per cui in luogo del soddisfacimento si è avuta la frustrazione, ma in seguito a uno sforzo interiore per procurarsi il soddisfacimento accessibile nella realtà. Nel tentativo di adattarsi alla realtà, di adempiere alle richieste della realtà, egli urta contro insuperabili difficoltà interne e perciò si ammala. Ci sono poi persone che si ammalano appena hanno oltrepassato l’irresponsabile età infantile. L’essenziale del processo predisponente è che la libido non ha mai abbandonato le fissazioni infantili; le richieste della realtà non si pongono improvvisamente all’individuo, maturo in parte o totalmente, ma sorgono dal fatto stesso che egli cresce. Infine, si ammalano individui che erano stati sani fino a quel momento, e non si sono trovati di fronte ad alcuna esperienza nuova; la loro relazione con il mondo esterno non ha subìto alcuna modificazione. Raggiunto un certo periodo di vita, e in connessione con i processi biologici normali, la loro quantità di libido ha subìto un incremento che di per sé è sufficiente ad alterare l’equilibrio della salute e a stabilire le condizioni della nevrosi.

Contributi a una discussione sull’onanismo (1912)

559-70

La discussione sull’onanismo presso la Società psicoanalitica di Vienna durò parecchi mesi e si svolse in questo modo: ogni oratore presentò una relazione alla quale seguì un dibattito dettagliato. Tutti i membri furono concordi sui seguenti punti: a) importanza delle fantasie che accompagnano o sostituiscono l’atto onanistico; b) importanza del senso di colpa collegato con l’onanismo; c) impossibilità di indicare una condizione qualitativa che determina gli effetti dell’onanismo. Differenze d’opinione irrisolte si sono manifestate: a) per quanto riguarda la negazione del fattore somatico negli effetti dell’onanismo; b) per quanto riguarda il rifiuto in genere degli effetti dannosi dell’onanismo; c) in relazione all’origine del senso di colpa; d) in relazione all’ubiquità dell’onanismo infantile. Sussistono significative incertezze: a) sul meccanismo dell’effetto dannoso dell’onanismo; b) sul rapporto etiologico tra onanismo e nevrosi attuali. Nelle nevrosi si ha a che fare con casi in cui l’onanismo ha recato danno. Questo danno sembra realizzarsi in tre modi diversi: a) come danno organico secondo un meccanismo sconosciuto; b) attraverso un modello psichico secondo il quale per soddisfare un grande bisogno non si è costretti a operare una modificazione del mondo esterno; c) rendendo possibile la fissazione di mete sessuali infantili e il permanere nell’infantilismo psichico.

Nota sull’inconscio in psicoanalisi (1912)

575-81

Una rappresentazione, o qualunque altro elemento psichico, può essere presente nella nostra coscienza e scomparirne subito dopo; può, dopo un intervallo, riapparire immutata, cioè riemergere dalla memoria e non risultare da una nuova percezione dei sensi. Per rendere conto di un tale fatto siamo costretti a supporre che la rappresentazione fosse presente in noi anche durante l’intervallo, seppure latente nella coscienza. Chiameremo allora “conscia” soltanto la rappresentazione che è presente nella nostra coscienza e di cui abbiamo percezione, attribuendo questo solo significato al termine “conscio”. Invece le rappresentazioni latenti dovranno essere designate come “inconsce”. L’analisi dei fenomeni nevrotici ci mostra che un pensiero latente o inconscio non è necessariamente debole, e che la presenza di un siffatto pensiero nella psiche lascia adito a prove indirette tra le più convincenti, la cui forza persuasiva è quasi pari a quella della prova diretta fornita dalla nostra coscienza. Un’attività preconscia può senza difficoltà passare nella coscienza, e un’attività inconscia rimane tale e sembra tagliata fuori da essa. I pensieri onirici latenti non si distinguono per nulla dai prodotti della nostra abituale attività psichica cosciente. Meritano di essere chiamati pensieri preconsci, e possono essere stati coscienti in qualche momento della vita vigile.

Estratti: Opere di Sigmund Freud (OSF) Vol 6. Casi clinici e altri scritti 1909-1912, Torino, Bollati Boringhieri, 2003.