Vico, allontanandosi definitivamente dalla pedagogia malebranchiana, trova in un altro grande pensatore, la piattaforma dalla quale, in un secondo momento, svilupperà la sua originale concezione dell’attività fantastica: Francis Bacone.
Il metodo induttivo proposto da Bacone, diverso dall’induzione puramente logica di Aristotele, che si fonda su una semplice numerazione di casi particolari, è utile sia all’invenzione che allo studio della scienza, in quanto essa si fonda sulla scelta e sulla eliminazione dei casi particolari , il tutto osservando i segni della natura, e solo in ultimo si arriva ad individuare la legge che regola il fenomeno. Scelta ed eliminazione, dunque, costituiscono il fondamento del metodo induttivo proposto da Bacone, il quale metodo finisce per assumere la forma di una vera e propria raccolta e descrizione, una vera e propria storia naturale e sperimentale incamerata attraverso l’esperienza, attraverso la natura stessa. Come vedremo più avanti, l’induzione acquisterà un peso fondamentale nel pensiero vichiano, soprattutto in rapporto alla questione dell’universale fantastico.
Il pensiero di Bacone è per Vico una sorta di giustificazione, di controprova, della sua personalissima pedagogia tutta imperniata sulla fantasia. Egli evidenziò l’importanza del connubio tra storia naturale e storia civile, dando a Vico – come ricorda il Costa – << l’autorizzazione a perseguire una pedagogia più aperta ai valori poetici, imperniati sulla fantasia >>[1].
A questo allontanamento da Malebranche, seguito da un avvicinamento a Bacone, segue anche, un allontanamento, oltre che dal pensiero, anche dalla lingua francese. I francesi non riuscendo a trasmettere colore al loro pensiero, a differenza degli italiani, ben più avvezzi alle acutezze linguistiche, “hanno una lingua ricca di sostantivi: ma la sostanza è per sé informe ed inerte e non ammette comparazione. Perciò i francesi non riescono a conferire colore alle loro idee, in quanto ciò è impossibile senza la commozione […] poiché le loro menti acutissime non eccellono nella sintesi, ma nella sottigliezza dei ragionamenti […] Ma noi, che possediamo una lingua costantemente suscitatrice di immagini, onde gli italiani hanno superato tutti i popoli della terra nella pittura, nella scultura, nell’architettura, nella musica; una lingua sempre stimolante, che con l’efficacia delle similitudini associa nella mente degli ascoltatori idee estremamente diverse e lontane, onde gli italiani sono, dopo gli Spagnoli, il popolo più ricco di acutezze”[2].