Fa molto pensare l’utilizzo vichiano di questo nome-mito. Sarà anche vero che la sua interpretazione della storia romana sembrerebbe influenzata proprio dalla società di stampo feudale che caratterizzava l’Italia meridionale e la Sicilia del suo tempo e sarà anche vero l’inverso, cioè che la sua concezione della società romana ha influenzato la sua visione della società feudale[1] ma, è certamente originale l’interpretazione fantastica che Vico ci dà della costituzione di Servio Tullio e della seconda legge delle XII tavole per quando riguarda le leggi agrarie: partendo proprio dal mito ovidiano di Atalanta il filosofo napoletano ci racconta la sua versione della favola: Atalanta, col gittare il pomo d’oro, vince i proci nel corso, appunto com’Ercole lutta con Anteo e, innalzandolo in cielo, il vince, come si è sopra spiegato. Atalanta rilascia a’ plebei prima il dominio bonitario, dappoi il quiritario de’ campi, e si riserva i connubi: appunto come i patrizi romani, con la prima agraria di Servio Tullio e con la seconda della legge delle XII Tavole, serbaron ancor i connubi entro il lor ordine [2]
Le mele di Atalanta, gettate da essa stessa ai proci divengono la fonte delle leggi agrarie. Mito e vita si uniscono nella originaria autorivelazione del nome Atalanta. Nasce così, da questa “fantastica” interpretazione del racconto su Atalanta che il nostro Autore si finge, il fatto che le mele gettate ai proci prendono le sembianze di tante leggi agricole.
Atalanta obbligata a prender marito, s’impegnò a farlo solo con l’uomo che l’avesse vinta nella prova della corsa, e a patto che chiunque avesse fallito, avrebbe trovato la morte. Ne uccise tanti finché un giorno incontrò Ippomene che durante la corsa lasciò cadere le mele d’oro che Afrodite gli regalò. Atalanta si fermò per raccoglierle e Ippomene vinse.