Fonte: Aristotele, Organon, Laterza, Bari, 19842, vol. I, pag. 57-58 –De interpr., 16a 1-20.
1 [16a] Occorre stabilire, anzitutto, che cosa sia nome e che cosa sia verbo, in seguito, che cosa sia negazione, affermazione, giudizio e discorso.
2 Ordunque, i suoni della voce sono simboli delle affezioni che hanno luogo nell’anima, e le lettere scritte sono simboli dei suoni della voce. Allo stesso modo poi che le lettere non sono le medesime per tutti, cosí neppure i suoni sono i medesimi; tuttavia, suoni e lettere risultano segni, anzitutto, delle affezioni dell’anima, che sono le medesime per tutti e costituiscono le immagini di oggetti, già identici per tutti. Orbene, di questi argomenti si è parlato nei libri che riguardano l’anima: essi appartengono infatti ad una disciplina differente. D’altro canto, come nell’anima talvolta sussiste una nozione, che prescinde dal vero o dal falso, e talvolta invece sussiste qualcosa, cui spetta necessariamente o di essere vero o di essere falso, cosí avviene pure per quanto si trova nel suono della voce. In effetti, il falso ed il vero consistono nella congiunzione e nella separazione. In sé, i nomi ed i verbi assomigliano dunque alle nozioni, quando queste non siano congiunte a nulla né separate da nulla; essi sono ad esempio i termini uomo, o: bianco, quando manchi una qualche precisazione, poiché in tal caso non sussiste ancora né falsità né verità. Ciò è provato dal fatto, ad esempio, che il termine becco-cervo significa bensí qualcosa, ma non indica ancora alcunché di vero o di falso, se non è stato aggiunto l’essere oppure il non essere, con una determinazione assoluta o temporale.
3 Il nome è cosí suono della voce, significativo per convenzione, il quale prescinde dal tempo ed in cui nessuna parte è significativa, se considerata separatamente.