Fonte: H. Arendt, Vita activa, trad. it. a cura di F. Finzi, Bompiani, Milano, 1964, pagg. 121-122
Nella tradizione che giunge fino all’inizio dell’età moderna, il termine vita activa non perdette mai il suo significato negativo di “in-quietudine”, nec-otium, ascholía. In tal modo esso rimaneva intimamene legato alla sempre piú fondamentale distinzione greca tra cose che sono da sé ciò che esse sono e cose che devono la loro esistenza all’uomo, tra cose che sono physei e cose che sono nómo. Il primato della contemplazione sopra l’attività si fonda sulla convinzione che nessun lavoro prodotto dall’uomo può eguagliare in bellezza e verità ilKosmos fisico, che vive di leggi proprie nell’eternità immutabile senz’alcuna interferenza o assistenza dall’esterno, da parte dell’uomo o di Dio. Questa eternità si dischiude agli occhi mortali solo quando tutti i movimenti e le attività umane sono in perfetto riposo. Riferite a quest’attitudine di quiete, tutte le distinzioni e articolazioni entro la vita activa scompaiono. Dal punto di vista della contemplazione, non ha importanza che cosa disturbi la quiete necessaria, quando questa è disturbata.
Tradizionalmente, quindi, il termine vita activa riceve il suo significato dalla vita contemplativa; la sua limitatissima dignità le è conferita dal fatto che essa i serve la necessità e il bisogno di contemplazione in un corpo vivente.