Come abbiamo visto negli ultimi post, la tesi che prende via via sempre più piede in ambito psicologico a proposito delle esperienze emotive, è che le emozioni dipendano dalla modalità con cui gli individui valutano e interpretano gli stimoli.
Tale ipotesi si discosta dal senso comune che concepisce le emozioni come passioni irrazionali, di durata breve che emergono involontariamente e automaticamente.
Le teorie dell’appraisal presentano una lettura alternativa che evidenzia una connessione tra le emozioni e gli aspetti cognitivi.
Con il termine “appraisal” si indica un atto immediato di conoscenza che completa la percezione. Di questo atto si diventa consapevoli solo a percorso concluso. L’appraisal si concretizza nel legame tra gli aspetti emotivi e quelli cognitivi, perché la valutazione cognitiva accompagna strutturalmente l’esperienza emotiva. Le emozioni rappresentano il precipitato di ciò che percepiamo e valutiamo a partire dalle condizioni ambientali, dalla nostra condizione psicofisica e dai nostri scopi. Le emozioni sono cioè la conseguenza di una valutazione della situazione a partire dagli interessi dell’individuo. Le emozioni emergono come reazione alla struttura di significato di una situazione. Si parla in questo caso di significato situazionale che afferisce ad una dimensione soggettiva dell’esperienza emotiva e rende conto delle differenze individuali.
Tomkins negli anni 60 riprende il pensiero di Darwin proponendo una lettura psicoevoluzionistica delle emozioni: le emozioni si connettono ai scopi universali, alla sopravvivenza della specie e dell’individuo. Ekman e Izard (allievi di Tomkins) hanno articolato questa ipotesi intrecciandola con la tesi innatista dell’espressione facciale delle emozioni che riprende e rafforza l’idea che ci siano emozioni primarie: gioia, collera, paura, disgusto, tristezza, sorpresa, disprezzo. Secondo questa lettura, le altre emozioni sono secondarie o miste ovvero sarebbero il risultato di una mescolanza delle diverse emozioni primarie.
Le teorie psicoevoluzionistiche hanno dato successivamente avvio ad una concezione categoriale delle emozioni, cioè le emozioni sono concepite come categorie discrete, distinte, come delle vere e proprie totalità delimitate, non scomponibili, immutabili e universali: esse sono l’esito di un adattamento filogenetico.
A partire da queste premesse, le espressioni facciali delle emozioni sono anch’esse universali. Inoltre ci sarebbero delle configurazioni neurofisiologiche distinte per ogni emozione. Oltre a ciò abbiamo una continuità mimico espressiva primati-umani, ovvero ci sono antecedenti emozionali universali e comuni a tutti gli appartenenti alla specie. Per finire, le emozioni sono involontarie ed automatiche, ovvero sono processi che non possono essere regolati.
In contrapposizione alla teoria psicoevoluzionista abbiamo la teoria costruttivistica che concepisce le emozioni come il frutto di processi sociali e culturali. Le emozioni, in altre parole, avrebbero la funzione di regolare le interazioni e non quella di garantire la sopravvivenza biologica della specie, sorgono cioè a partire da pratiche sociali e dalla condivisione di un sistema di credenze e di valori. Se seguiamo questa prospettiva, ogni cultura ha una propria configurazione emotiva, e le emozioni non sarebbero altro che delle costruzioni sociali transitorie finalizzate a regolare il comportamento secondo date regole.