Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (e altri scritti)

Le mie opinioni sul ruolo dell sessualità nell’etiologia delle nevrosi

1905, 217-25

La teoria si riferiva originariamente soltanto ai quadri morbosi compresi sotto la denominazione di “nevrastenia”, con la distinzione di due tipi: “nevrastenia vera” e “nevrosi d’angoscia”. Col crescere delle conoscenze sull’isteria si scoprì alla fine che le nevrosi isteriche che si prolungano per tutta la vita risalgono alle esperienze sessuali perlopiù di scarso rilievo della seconda infanzia. Parecchie fantasie di seduzione vengono spiegate come tentativi di difesa dal ricordo di una propria attività sessuale (masturbazione da bambino). È confermata l’importanza della sessualità e della vita infantile. Dall’esplorazione psicoanalitica si apprende che i sintomi raffigurano l’attività sessuale del malato, proveniente dalle fonti delle pulsioni sessuali parziali normali o perverse. All’etiologia della nevrosi appartiene dunque tutto ciò che può influire dannosamente sui processi che servono alla funzione sessuale: in primo luogo le pratiche nocive che riguardano direttamente la funzione sessuale; in secondo luogo tutte le altre pratiche nocive e i traumi che, recando offesa all’organismo nel suo insieme, possono danneggiare in via secondaria i processi sessuali che in esso hanno luogo. La malattia è il risultato di una sommazione di fattori etiologici, e la misura delle determinazioni etiologiche può venire colmata da una parte qualsiasi.

Persoaggi psicopatici sulla scena

1905, 231-36

Scopo del dramma è far scaturire fonti di piacere o di godimento dalla nostra vita affettiva. Lo “sfogo” degli affetti ha qui il primo posto, e il godimento che ne risulta corrisponde al sollievo che dà ogni scarica copiosa e al concomitante eccitamento sessuale. Il godimento dello spettatore ha come presupposto l’illusione; chi si agita e soffre là sulla scena è un’altra persona, si tratta solo di un gioco da cui non può derivare alcun danno per la sicurezza sessuale di chi ascolta. Il dramma mira a scandagliare le possibilità affettive, a trasformare in godimento anche i presentimenti di sventura. Tema del dramma è ogni genere di sofferenze, dalle quali esso promette di trarre piacere per lo spettatore. Ne consegue una prima condizione di questa forma artistica: che non faccia soffrire lo spettatore, che sappia compensare, mediante i soddisfacimenti resi in tal modo possibili, la pietà suscitata. L’uomo conosce le sofferenze spirituali essenzialmente in relazione alle circostanze nelle quali esse vengono acquisite, e perciò il dramma ha bisogno di un’azione da cui queste sofferenze traggano origine, e ha inizio introducendo tale evento. Deve trattarsi di una situazione di conflitto, che richiede uno sforzo della volontà e una resistenza. Il dramma religioso, quello psicologico e quello sociale si differenziano essenzialmente per il terreno sul quale si svolge l’azione da cui scaturisce la sofferenza. Vengono discusse le caratteristiche del dramma psicologico e del dramma psicopatologico. L’Amleto si distingue per tre caratteristiche: 1) l’eroe non è psicopatico, ma lo diviene solo nel corso dell’azione; 2) l’impulso rimosso è di quelli che sono ugualmente rimossi in tutti noi, e proprio questa rimozione viene scossa dalla situazione drammatica; 3) l’impulso che lotta per emergere non viene mai chiamato chiaramente per nome, così che nell’ascoltatore il processo si compie nuovamente mentre la sua attenzione è distratta ed egli è in preda ai suoi sentimenti invece di rendersi conto di quanto avviene. In tal modo è risparmiata una parte di resistenza. La labilità nevrotica del pubblico e l’arte con cui il drammaturgo evita le resistenze e offre un piacere preliminare possono determinare i limiti ai quali deve sottostare l’impiego di personaggi psicopatici sulla scena.

Diagnostica del fatto e psicoanalisi

1906, 241-50
La crescente convinzione dell’inattendibilità della deposizione testimoniale, che costituisce la base di tante condanne, ha aumentato la fiducia in un nuovo metodo d’investigazione, che mira a costringere lo stesso imputato a dimostrare con segni obiettivi la propria innocenza o colpevolezza. Questo metodo consiste in un esperimento psicologico e si fonda su studi psicologici. Si dice al soggetto una parola, alla quale egli deve rispondere il più rapidamente possibile con una seconda parola che gli viene in mente, senza che la scelta di questa reazione sia stata in qualche modo delimitata. Oggetto dell’osservazione sono il tempo impiegato per la reazione e il rapporto tra la parola-stimolo e la reazione. È invalso l’uso di designare un tale contenuto rappresentativo, in grado di influire sulla reazione alla parola-stimolo, con il termine “complesso”. Tale influsso è attivo allorché la parola-stimolo sfiora direttamente il complesso, oppure allorché il complesso riesce a mettersi in contatto con la parola-stimolo attraverso elementi intermedi. Nel valutare le reazioni si hanno quattro specie di indizi per sapere se il soggetto esaminato possiede il complesso con il quale reagisce alle parole-stimolo: 1) il contenuto insolito della reazione stessa; 2) il prolungamento del tempo di reazione; 3) l’errore nella riproduzione della parola-stimolo; 4) il fenomeno della perseverazione. I giudici potrebbero adottare questo metodo sperimentale, nel tentativo di stabilire attraverso segni obiettivi la colpevolezza o l’innocenza.

Prefazione alla prima edizione della “Raccolta di brevi scritti sulla teoria delle nevrosi 1893-1906”

1906, 255

Nel 1906 Freud decise di presentare in forma di raccolta i suoi scritti minori sulle nevrosi pubblicati a partire dal 1893. Apparve così un volume contenente quattordici scritti (che fu seguito da altri quattro volumi negli anni 1909, 1913, 1918, 1922). Nella Prefazione Freud afferma che la Raccolta costituisce un’introduzione e un complemento alle sue pubblicazioni più ampie che trattano gli stessi temi. Il necrologio di Charcot vi compare in apertura, non solo come tributo di riconoscenza, ma anche come un’indicazione del punto nodale a partire dal quale il suo lavoro personale si diparte da quello del Maestro.

Il delirio e i sogni nella “Gravida” di Wilhelm Jensen

1906, 263-90

1
Viene riassunto il breve racconto Gradiva di Wilhelm Jensen, perché sia possibile, in seguito, far riferimento a una vicenda nota al lettore. Un giovane archeologo, Norbert Hanold, scopre in un museo di antichità a Roma un bassorilievo che lo attrae. Ne ottiene un calco in gesso. L’immagine riproduce, nell’atto di camminare, una giovinetta in pieno fiore, la quale solleva un po’ la sua ricca veste così da lasciare scoperti i piedi nei sandali. Questo interesse dell’eroe del racconto per il bassorilievo è il fatto psicologico fondamentale del racconto. Dopo aver molto meditato, Norbert Hanold deve ammettere che il particolare modo di camminare di Gradiva non è riscontrabile nella realtà, e questo gli procura rammarico e delusione. Subito dopo ha un sogno terribilmente affannoso, che lo trasporta nell’antica Pompei nel giorno dell’eruzione del Vesuvio e lo fa assistere alla distruzione della città. Gradiva sembra rivivere nel corpo di un’altra donna. Hanold incontra questa donna, Zoe Bertgang, sua amica d’infanzia e vicina di casa, e se ne va insieme con lei. Nel trionfo dell’amore, trova ora riconoscimento anche ciò che era bello e prezioso nel delirio. Con l’ultima similitudine dell'”amico di infanzia dissepolto dalla cenere” il poeta ci fornisce la chiave del simbolismo di cui il delirio del protagonista si era servito per travestire il ricordo rimosso.

291-309

2.

Lo studio psichiatrico proposto da Jensen è pienamente corretto e su di esso “possiamo misurare il nostro intendimento della vita psichica”; è la storia di un caso e del suo trattamento, che potrebbe essere utilizzata per mettere in rilievo certe teorie fondamentali della psicologia medica. Lo stato di Norbert Hanold viene descritto abbastanza spesso dall’autore come “delirio”; e anche Freud non ha motivo di rifiutare questa definizione. Lo stato di permanente distacco dalla donna produce la disposizione per il formarsi del delirio. Lo sviluppo del disturbo comincia nel momento in cui un’impressione casuale risveglia esperienze infantili dimenticate e almeno in parte a coloritura erotica. Rimossi sono in Norbert Hanold i ricordi dei suoi rapporti d’infanzia con Zoe, la fanciulla dal bel modo di camminare. Le prime manifestazioni del processo messo in moto in Hanold dal bassorilievo sono fantasie che si sviluppano attorno alla persona raffigurata. Il delirio di Hanold si sviluppa ulteriormente attraverso un sogno che gli accade di fare proprio mentre si sforza di ritrovare per le vie della sua città natale un modo di camminare uguale a quello di Gradiva. Il sogno è un sogno d’angoscia. Il suo contenuto è terrificante, e il sognatore continua ad avere sentimenti dolorosi anche dopo il risveglio.

310-28

3

La formazione del nuovo delirio riguardante la morte di Gradiva durante la distruzione di Pompei nell’anno 79 non è l’unico effetto del primo sogno nel racconto di Jensen. Subito dopo Hanold decide di fare un viaggio in Italia. Il viaggio viene intrapreso per motivi che il soggetto all’inizio non riconosce e soltanto più tardi confessa: motivi che il poeta definisce esplicitamente come “inconsci”. L’interpretazione del viaggio di Hanold come fuga dal desiderio d’amore che si veniva risvegliando in lui per la prossimità dell’amata, è l’unica che concorda con la descrizione dei suoi stati d’animo durante la permanenza in Italia. L’apparizione di Zoe Bertgang segna il punto di massima tensione nel racconto. Questa ragazza avveduta decide di prendersi per marito l’amico d’infanzia, dopo aver riconosciuto, dietro il delirio di lui, il suo amore come forza motrice. Quando un ammalato crede così tenacemente al proprio delirio, ciò non avviene per un sovvertimento delle sue capacità di giudizio e non deriva da ciò che di errato vi è nel delirio stesso. In ogni delirio vi è invece un nucleo di verità, vi è sempre qualcosa che merita fede, ed è la fonte della persuasione del malato, la quale fin qui è giustificata. Nel secondo sogno di Hanold si ha la sostituzione di un vecchio signore (incontrato il giorno precedente) con Gradiva e l’introduzione di una misteriosa “collega”.

329-36
4 (Con l’aggiunta della Postilla alla second edizione, 1912)
Jensen ha fatto arbitrariamente coincidere una fantastica vicenda archeologica con una storia d’amore. In primo luogo, il cambiamento subentrato in Hanold non riguarda soltanto la scomparsa del delirio. Contemporaneamente, anzi prima ancora del dissolvimento del delirio, vi è in lui l’indubbio risveglio del bisogno d’amore, che sfocia poi in maniera naturale nella domanda di matrimonio fatta alla ragazza che lo ha liberato dal delirio. Il procedimento che il poeta fa seguire a Zoe per la cura del delirio del suo compagno di fanciullezza coincide con il metodo terapeutico introdotto da Breuer e Freud e chiamato “catartico” da Breuer e “psicoanalitico” da Freud. La somiglianza tra il procedimento di Gradiva e il metodo psicoanalitico consiste nel rendere cosciente il rimosso, nella coincidenza dell’interpretazione e della guarigione, nel risveglio dei sentimenti. I pensieri onirici latenti in Gradiva sono “residui diurni”. Tuttavia, perché un sogno si formi è necessario il concorso di un desiderio, il più delle volte inconscio: quest’ultimo fornisce la forza motrice per la costruzione del sogno, mentre i residui diurni ne forniscono il materiale. Nel primo sogno di Norbert Hanold concorrono insieme, per la creazione del sogno, due desideri: il primo è quello di aver potuto assistere come testimonio oculare alla catastrofe del 79; l’altro è essere presente quando l’amata si dispone a dormire. Nella Postilla si precisa che Jensen ha scritto due altre novelle: Der rote Schirm (L’ombrellino rosso) e Im gotischen Hause (Nella casa gotica). Tutte e due queste novelle e la Gradiva trattano lo stesso tema: lo sviluppo di un amore come tardo effetto di un’intima e pressoché fraterna comunità di vita negli anni dell’infanzia.

Azioni ossessive e pratiche religiose

1907, 341-49

Questo lavoro, scritto nel febbraio 1907, è considerato il primo apporto di Freud alla psicologia della religione. Freud afferma di essere stato colpito dalla somiglianza delle cosiddette azioni ossessive dei nevrotici con le pratiche attraverso le quali il credente testimonia la sua devozione religiosa. Coloro che eseguono azioni ossessive o cerimoniali appartengono – accanto a coloro che soffrono di pensieri, rappresentazioni, impulsi ecc. coatti – a una particolare entità clinica per la quale abitualmente si usa il termine “nevrosi ossessiva”. Il cerimoniale nevrotico consiste in piccoli accorgimenti, aggiunte, restrizioni, assestamenti che nel corso di determinate azioni della vita quotidiana vengono effettuati in modo sempre uguale oppure variato secondo regole. Qualsivoglia attività può divenire ossessiva quando si complica per l’aggiunta di piccoli gesti e viene ritmata mediante pause e ripetizioni. Nelle azioni ossessive tutto ha un significato e può essere interpretato. La stessa cosa vale per il cerimoniale vero e proprio. Il cerimoniale comincia come azione di difesa o di rassicurazione, come misura protettiva. Alla coscienza di colpa del nevrotico ossessivo corrisponde la confessione, da parte dei fedeli, di essere nel fondo del loro cuore malvagi peccatori; e un valore di norme difensive o protettive sembrano avere i pii esercizi (preghiere, invocazioni ecc.) con i quali essi iniziano ogni attività giornaliera. In base a queste coincidenze e analogie ci si potrebbe arrischiare a considerare la nevrosi ossessiva come un equivalente patologico della formazione religiosa, e a descrivere la nevrosi come una religiosità individuale e la religione come una nevrosi ossessiva universale.

Istruzione sessuale dei bambini

1907, 355-62

Si pensa comunemente che ai bambini manchi la pulsione sessuale, e che questa si instauri in loro soltanto durante la pubertà con lo sviluppo degli organi sessuali. Si tratta di un grossolano errore, gravido di conseguenze sia tecniche che pratiche. Il neonato reca la sessualità con sé venendo al mondo; determinate sensazioni sessuali lo accompagnano durante l’epoca dell’allattamento e le varie fasi dell’infanzia, e soltanto una piccolissima minoranza di bambini si sottraggono prima della pubertà ad attività e impressioni sessuali. L’interesse intellettuale del bambino per gli enigmi della vita sessuale, la sua curiosità sessuale, si esprime del resto anche in un’età inopinatamente precoce. Anche il problema della provenienza dei bambini impegna il pensiero durante l’infanzia; esso si collega perlopiù all’indesiderata comparsa di un nuovo fratellino o sorellina. Non c’è alcuna ragione per negare ai bambini quella spiegazione che la loro brama di sapere esige. La curiosità del bambino non raggiungerà mai un alto livello se in ogni fase dell’apprendere troverà l’appagamento corrispondente. La spiegazione delle condizioni specificamente umane della vita sessuale e il riferimento al valore sociale della sessualità dovrebbero pertanto concludersi con la fine della scuola elementare, non oltre i dieci anni.

Risposta a un questionario sulla lettura e i sui buoni libri

1907, 367-68
Alla richiesta di indicare il nome di “dieci buoni libri” rispondendo a un questionario presentato a trentadue personalità della cultura per iniziativa dell’editore Hugo Heller, Freud dà il seguente elenco, spiegando i motivi delle sue scelte: Multatuli, Lettere e opere; Kipling, Il libro della giungla; France, Sulla pietra bianca; Zola, Fecondità; Merezkovskij, Leonardo da Vinci; Keller, La gente di Seldwyla; Meyer, Gli ultimi giorni di Hutten; Macaulay, Saggi; Gomperz, I pensatori greci; Twain, Bozzetti.

Prospetto per la collana “Scritti di psicologia applicata”

1907, 369
Gli “Schriften zur angewandten Seelenkunde” si rivolgono a quella vasta cerchia di persone colte le quali, senza essere filosofi o medici, sono tuttavia in grado di apprezzare il significato che la scienza della mente umana assume per la comprensione e l’approfondimento della nostra vita. Si vuole presentare ogni volta un singolo studio che tenti l’applicazione delle conoscenze psicologiche a temi artistici e letterari, di storia delle civiltà e delle religioni e a campi analoghi. La collana è aperta agli esponenti di opinioni divergenti e si augura di poter dare espressione alla varietà di vedute e di princìpi propria della scienza contemporanea.

Il poeta e la fantasia
1907, 375-83
Ogni bambino impegnato nel gioco si comporta come un poeta, in quanto si costruisce un suo proprio mondo, o meglio dà a suo piacere un nuovo assetto alle cose del suo mondo. L’opposto del gioco non è ciò che è serio, ma ciò che è reale. Il poeta fa quello che fa il bambino giocando: crea un mondo di fantasia, che prende molto sul serio. L’individuo crescendo smette di giocare, e sembra rinunciare a conseguire il piacere che traeva dal gioco. L’adolescente, quando smette di giocare, abbandona soltanto l’appoggio agli oggetti reali: invece di giocare ora fantastica. L’attività fantastica dell’adulto si può osservare meno agevolmente del gioco dei bambini. L’adulto si vergogna delle sue fantasie e le nasconde agli altri. Il gioco del bambino era diretto da desideri, e propriamente da quello specifico desiderio che è di così grande aiuto nella sua educazione: il desiderio di essere grande e adulto. Le forze motrici delle fantasie sono desideri insoddisfatti, e ogni singola fantasia è un appagamento di desiderio, una correzione della realtà che ci lascia insoddisfatti. Una forte impressione attuale risveglia nel poeta il ricordo di un’esperienza interiore, perlopiù risalente all’infanzia, ed è questa la fonte del desiderio, che si crea il proprio appagamento nell’opera poetica; in essa si rivelano elementi tanto del fatto recente che ha fornito lo spunto quanto dell’antico ricordo.

Fantasie isteriche e loro relazione con la bisessualità

1908, 389-95
Le cosiddette fantasie isteriche permettono di rilevare importanti connessioni con l’etiologia dei sintomi nevrotici. Fonte comune e prototipo normale di tutte queste creazioni fantastiche sono i cosiddetti sogni a occhi aperti dei giovani. Forse ugualmente frequenti in entrambi i sessi, essi sembrano essere di natura esclusivamente erotica nelle ragazze e nelle donne, e di natura erotica o ambiziosa nei maschi. Se si esaminano più da vicino i sogni a occhi aperti dei maschi, risulta solitamente che tutte quelle gesta eroiche vengono compiute, tutti i successi sono conseguiti, solo per piacere a una donna ed essere da lei preferito ad altri. Queste fantasie sono soddisfacimenti di desideri scaturiti dalla privazione e dalla nostalgia. I sogni a occhi aperti vengono investiti di un grande interesse. Le fantasie inconsce, o sono state inconsce fin dall’inizio, e si sono formate nell’inconscio, oppure erano una volta fantasie coscienti, sogni a occhi aperti, e sono state poi dimenticate intenzionalmente, divenendo inconsce per opera della rimozione. Le fantasie inconsce sono i prodromi psichici di una serie di sintomi isterici: sono il simbolo mnestico di impressioni ed esperienze; il sostituto del ritorno associativo di queste esperienze; l’espressione dell’appagamento di un desiderio; la realizzazione di una fantasia inconscia. I sintomi servono al soddisfacimento sessuale; corrispondono al ritorno di un modo di soddisfacimento sessuale che è stato reale nella vita infantile e che da allora è stato rimosso; sorgono come compromesso tra due opposti moti affettivi o pulsionali; non sono mai privi di un significato sessuale e sono l’espressione, da un lato, di una fantasia sessuale inconscia maschile, e dall’altro di una corrispondente fantasia femminile. Il significato bisessuale di certi sintomi isterici è una conferma della tesi che la supposta disposizione bisessuale dell’uomo è riconoscibile con particolare chiarezza, attraverso la psicoanalisi, negli psiconevrotici.

Carattere ed erotismo anale
1908, 401-06
Le persone che Freud intende descrivere colpiscono per il fatto che mostrano sempre riunite le seguenti tre caratteristiche: sono particolarmente ordinate, parsimoniose e ostinate. Hanno impiegato relativamente parecchio tempo per giungere a padroneggiare l’incontinentia alvi infantile, e anche in seguito, nella fanciullezza, hanno lamentato episodici infortuni in questa funzione. Poiché l’erotismo anale appartiene a quelle componenti pulsionali che nel corso dello sviluppo e in vista della nostra odierna educazione civile diventano inutilizzabili per scopi sessuali, appare plausibile individuare nelle proprietà del carattere tanto frequenti in questi antichi erotici anali (ordine, parsimonia e ostinazione) i primi e più costanti prodotti della sublimazione dell’erotismo anale. I tratti di carattere che permangono sono, o prosecuzioni immutate delle pulsioni originarie, o loro sublimazioni, o formazioni reattive contro di esse.

La morale sessuale “civile” e il nervosismo moderno
1908, 411-30
Non è difficile supporre che sotto il dominio della morale sessuale civile la salute e il vigore dei singoli uomini possano risultare pregiudicati, e che il guasto derivante agli individui dai sacrifici loro imposti finisca col raggiungere un grado tale che anche la meta ultima della civiltà ne risulta indirettamente compromessa. L’influsso deleterio della civiltà si riduce essenzialmente alla repressione della vita sessuale dei popoli (o dei ceti) civili operata dalla morale civile imperante. Un’attenta osservazione clinica ci autorizza a distinguere due gruppi di malattie nervose, le nevrosi vere e le psiconevrosi. Nelle prime i disturbi (sintomi), sia che si manifestino nelle funzioni corporee sia in quelle psichiche, sembrano essere di natura tossica. Il fattore essenziale nella causalità delle nevrosi vere è quello sessuale. Nel caso delle psiconevrosi l’influsso ereditario è più importante e la causalità meno trasparente. La psicoanalisi ha permesso di riconoscere che i sintomi di queste infermità (isteria, nevrosi ossessiva ecc.) sono psicogeni e dipendono dall’azione di complessi rappresentativi inconsci (rimossi). La stessa psicoanalisi ci ha poi consentito di conoscere anche questi complessi inconsci e ci ha mostrato che essi hanno un contenuto sessuale. Da un punto di vista generale, la nostra civiltà è stata edificata sulla repressione delle pulsioni. La pulsione sessuale non serve affatto agli scopi della riproduzione, ma ha come meta determinati modi di conseguire il piacere. In relazione alla storia evolutiva della pulsione sessuale si potrebbero distinguere tre gradi di civiltà: un primo grado nel quale la pulsione sessuale è libera di operare anche a prescindere dalle mete della riproduzione (tutto ciò comporta l’esame delle perversioni, che non servono a questo scopo); un secondo grado, nel quale della pulsione sessuale è represso tutto quanto non serve alla riproduzione; un terzo grado, nel quale solo la riproduzione legittima all’interno del matrimonio è ammessa come meta sessuale. A questo terzo grado corrisponde la morale sessuale “civile” del nostro tempo. Il comportamento sessuale di una persona è spesso esemplare di tutti gli altri suoi modi di reagire alla realtà. Appare legittima la domanda se la nostra morale sessuale “civile” meriti i sacrifici (nevrosi) che ci impone.

Prefazione a “Stati nervosi d’angoscia e loro trattamento” di Wilhelm Stekel

1908, 435-36

Le ricerche sull’etiologia e sul meccanismo psichico delle malattie nevrotiche, che Freud ha condotto a partire dal 1893 e che all’inizio sono state oggetto di scarsa considerazione da parte degli specialisti, hanno finalmente ottenuto il riconoscimento di numerosi studiosi in campo medico e hanno altresì richiamato l’attenzione sul metodo psicoanalitico di ricerca e di terapia. Wilhelm Stekel, uno dei primi colleghi iniziati alla conoscenza della psicoanalisi, il quale, grazie a una pratica pluriennale, ha acquistato personalmente dimestichezza con la sua tecnica, elabora un capitolo della clinica di queste nevrosi sulla base delle vedute freudiane e a esporre ai lettori medici le esperienze da lui acquisite con il metodo psicoanalitico. L’opera del dottor Stekel si fonda su un’ampia esperienza e si prefigge di incoraggiare altri medici a lavorare per confermare le concezioni sull’etiologia di questi stati.

Osservazioni generali sull’attacco isterico

1908, 441-45
Se si sottopone a trattamento psicoanalitico un’isterica, il cui male si manifesta in forma di attacchi, ci si convince facilmente che questi attacchi non sono altro che fantasie tradotte nella dimensione motoria, proiettate nella motilità, figurate in forma pantomimica. L’attacco isterico necessita della stessa elaborazione interpretativa che noi applichiamo ai sogni notturni. L’attacco diventa inintelligibile perché dà figura simultaneamente a parecchie fantasie con lo stesso materiale, ossia per condensazione. È reso oscuro perché l’ammalata tenta di svolgere l’attività delle due persone che compaiono nella fantasia, vale a dire ricorre a identificazioni multiple. La comparsa degli attacchi isterici segue leggi facili da capire. Poiché il complesso rimosso consiste in un investimento libidico e in un contenuto rappresentativo (fantasia), l’attacco può essere provocato: 1) per via associativa; 2) per via organica; 3) in funzione della tendenza primaria; 4) in funzione delle tendenze secondarie. L’esame della storia infantile dei pazienti isterici mostra che l’attacco isterico è destinato a sostituire un soddisfacimento autoerotico praticato in passato e poi abbandonato. Ciò che indica alla libido rimossa la via verso la scarica motoria nell’attacco è il meccanismo riflesso dell’atto del coito, che esiste predisposto in ognuno, anche nella donna, e che vediamo diventare manifesto in caso di dedizione illimitata all’attività sessuale.

Teorie sessuali dei bambini

1908, 451-56
Sono qui esposte per la prima volta molte osservazioni sulle investigazioni sessuali dei bambini: l’indicazione delle fantasie infantili di una fecondazione per via orale e di un parto anale, la concezione infantile sadistica dell’atto sessuale, l’attribuzione, da parte dei maschietti, di un pene anche alle donne. Il materiale su cui si basa l’esposizione deriva da diverse fonti: l’osservazione diretta di ciò che i bambini dicono e fanno; le comunicazioni di nevrotici adulti, i quali durante il trattamento psicoanalitico raccontano ciò che ricordano coscientemente della loro infanzia; le conclusioni, le costruzioni e i ricordi inconsci trasferiti nella coscienza, che si ottengono dalla psicoanalisi dei nevrotici. Ciascuna delle false teorie sessuali dei bambini contiene una parte di schietta verità. Le opinioni infantili sulla vita matrimoniale, che non di rado vengono mantenute dal ricordo cosciente, hanno grande importanza per la sintomatologia della successiva malattia nevrotica.

Il romanzo familiare dei nevrotici

1908, 471-74

La psicologia delle nevrosi insegna che al sentimento che il bambino prova di essere messo in disparte contribuiscono, tra gli altri fattori, i più intensi impulsi di rivalità sessuale. Quando cresce e tenta di staccarsi dai genitori, il bambino considera la loro autorità come ostile e vi reagisce con la sensazione che il suo affetto non sia pienamente corrisposto. Il maschio si mostra di gran lunga più incline a moti ostili verso il padre che verso la madre. Il passaggio evolutivo ulteriore di questo incipiente estraniamento dai genitori si può indicare col nome di “romanzo familiare” dei nevrotici. Quando nel bambino subentra la conoscenza delle diverse funzioni sessuali che hanno il padre e la madre, il romanzo familiare subisce una singolare restrizione: il bambino si accontenta, cioè, di innalzare il padre, ma non mette più in dubbio la provenienza della madre, considerata come qualcosa di immutabile. Questa seconda fase (sessuale) del romanzo familiare è sorretta anche da un altro motivo, che mancava nella prima fase (asessuale). Con la conoscenza dei fatti sessuali nasce la tendenza a inventare situazioni e relazioni erotiche, e qui è individuabile come forza motrice il desiderio di mettere la madre, che è oggetto della più intensa curiosità sessuale, in una situazione di segreta infedeltà o di segrete relazioni amorose. In questo modo quelle prime fantasie, per così dire asessuali, vengono portate all’altezza della conoscenza attuale. La sopravvalutazione che distingue i primissimi anni dell’infanzia risulta evidente in queste fantasie.

Analisi della fobia di un bambino di cinque anni
1908

481-93

1.Introduzione
Viene descritta la storia della malattia e della guarigione di un giovanissimo paziente. Le prime comunicazioni su Hans risalgono all’epoca in cui il piccolo non ha ancora compiuto i tre anni. Egli mostra allora un interesse particolarmente vivo per quella parte del suo corpo che è abituato a chiamare il “fapipì”. Intorno ai tre anni e nove mesi trova un elemento essenziale di distinzione tra animato e inanimato: la presenza o l’assenza di un fapipì. La sua avidità di conoscere sembra inseparabile dalla curiosità sessuale, e la sua curiosità è diretta in particolare ai genitori: vuol sapere se la madre e il padre hanno un fapipì. A tre anni e cinque mesi, minaccia di evirazione da parte della madre che l’ha sorpreso con una mano sul pene. Ma il grande avvenimento della vita di Hans a tre anni e mezzo è la nascita della sorellina Hanna. Hans osserva: “Il suo fapipì è ancora piccolo.” A tre anni e nove mesi manifesta il primo segno di omosessualità, che non sarà l’ultimo. A quattro anni e tre mesi è chiaro che l’esser aiutato a fare pipì (farsi aprire le brachette e mettere fuori il pene) è per lui una cosa piacevole. A quattro anni e mezzo per la prima volta Hans riconosce la differenza tra genitali maschili e femminili, invece di negarla.

494-554

  1. Malattia e analisi
    Hans (4 anni e 9 mesi) si alza una mattina piangendo e alla madre che gli chiede che cos’abbia dice che nel sonno ha pensato che lei se ne fosse andata. È un sogno d’angoscia. Alla base di questo stato sta il fatto che la sua tenerezza per la madre si è enormemente accresciuta. Hans riferisce una sua fantasia circa una giraffa grande e una giraffa sgualcita. Secondo l’interpretazione, la giraffa grande (il lungo collo) è il pene del padre; la giraffa sgualcita è l’organo genitale della madre. Hans la mattina va nel letto della madre a prendere carezze, sfidando così il padre. Hans ha paura degli animali grandi (specialmente dei cavalli) perché gli animali grandi hanno fapipì grandi. La sua angoscia, corrispondente a un’aspirazione erotica rimossa, è in un primo tempo priva d’oggetto, come tutte le angosce dei bambini. Dopo un’influenza, la fobia di Hans si rafforza al punto che è impossibile convincerlo a uscire. La causa immediata del precipitare nella fobia è stata la caduta di un grosso e pesante cavallo; una delle interpretazioni sembra essere quella proposta dal padre: Hans aveva in quel momento desiderato che il padre cadesse nello stesso modo e morisse. Così lui, Hans, ne avrebbe preso il posto accanto alla madre. Viene poi discusso il tema della sorella di Hans, Hanna: il bambino la immagina in una cassa (l’utero).

555-64

  1. Epìcrisi (1)
    È possibile che Hans non sia un bambino normale, ma un soggetto predisposto alla nevrosi, un piccolo “tarato”; però Freud non condivide questa opinione. Il piccolo Hans viene definito dai suoi genitori un bambino sereno e sincero. La prima particolarità del piccolo Hans riguardo alla vita sessuale è un vivissimo interesse per il suo “fapipì”. Questo interesse fa di lui un indagatore; egli scopre così che sulla base della presenza o dell’assenza del fapipì è possibile distinguere l’animato dall’inanimato. In tutti gli esseri viventi, che giudica simili a lui, postula questa importante parte del corpo, la studia nei grandi animali, la suppone in ambedue i genitori, e neppure ciò che gli dicono i suoi occhi lo dissuade dall’attribuire un “fapipì” alla sorella neonata. Nella costituzione sessuale del piccolo Hans la zona genitale è dunque sin dall’inizio, tra le zone erogene, quella da cui egli può trarre il più intenso piacere. La nascita di una sorellina quando Hans ha tre anni e mezzo ha una grandissima importanza per il suo sviluppo psicosessuale. L’avvenimento inasprisce i suoi rapporti con i genitori e gli pone problemi insolubili. Nella trionfante fantasia finale, Hans riassume tutti i suoi moti di desiderio, tanto quelli derivanti dalla fase autoerotica quanto quelli connessi con l’amore oggettuale. Hans è realmente un piccolo Edipo che desidera togliere di mezzo il padre per poter dormire con la madre. È sposato con la sua bella mamma e ha innumerevoli bambini, che può accudire a suo piacimento.

564-84
Epìcrisi (2)
Un giorno, in strada, Hans è colto da angoscia. La sua fobia cessa ben presto di essere in rapporto con lo spazio per prendere sempre più chiaramente come oggetto i cavalli. Nei primi giorni, al culmine dello stato d’angoscia, egli esprime un timore: “Il cavallo verrà nella camera.” L’insorgere dello stato d’angoscia non è stato così improvviso com’è sembrato in un primo momento. Alcuni giorni prima il bambino si è svegliato da un sogno angoscioso, il cui contenuto era che la mamma se n’era andata. I genitori gli dicono che l’angoscia è conseguenza della masturbazione e lo incoraggiano a disabituarsi da questa attività. Lo intimoriscono non solo i cavalli e i loro morsi, ma anche le carrozze, i carri da trasloco e gli omnibus, nonché i cavalli che si mettono in movimento, i cavalli grandi e pesanti e i cavalli che procedono velocemente. Lo stesso Hans ne spiega il perché: ha paura che i cavalli cadano, e perciò incorpora nella fobia tutto ciò che gli sembra facilitare questa caduta. Il cavallo che cade è non solo il padre che muore, ma anche la madre che partorisce. La nascita della sorellina fa sorgere in lui il problema della nascita e l’idea che il padre abbia avuto una parte nella nascita della piccola Hanna. In questa fobia l’angoscia si spiega con la rimozione delle tendenze aggressive.

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Epìcrisi (3 e Poscritto del 1922)

Hans non è, a rigor di termini, quello che si dice un bambino tarato, ereditariamente predestinato alla malattia nervosa. Al contrario, è un ragazzino di robusta costituzione, sereno, amabile, mentalmente sveglio, la cui compagnia è una gioia non soltanto per suo padre. Non è l’unico bambino colpito da una fobia. Le conseguenze dell’analisi sono che Hans guarisce, che non ha più paura dei cavalli e che assume una specie di tono cameratesco con suo padre. L’analisi sostituisce al processo della rimozione, che è automatico ed eccessivo, il graduale dominio temperato e adeguato conseguito con l’aiuto delle massime istanze psichiche, ossia sostituisce alla rimozione la condanna. Se la cosa fosse dipesa soltanto da Freud, egli si sarebbe arrischiato a dare al bambino anche una spiegazione che i genitori ritennero di ricusargli, ne avrebbe confermato i presentimenti istintivi rivelandogli l’esistenza della vagina e del coito, e in tal modo avrebbe ulteriormente ridotto i residui insoluti e messo fine al suo torrente di domande. “Sono tentato di annettere a questa nevrosi infantile l’importanza di un modello e di un tipo, opinando che la molteplicità dei fenomeni nevrotici di rimozione e l’abbondanza del materiale patogeno non impediscano la loro derivazione da pochissimi processi riguardanti gli stessi complessi rappresentativi.”. Nel Poscritto vengono fornite notizie sul successivo sviluppo del “piccolo Hans”, divenuto un prestante giovane che, nella primavera del 1922, stava perfettamente bene e non soffriva di disturbi o inibizioni di alcun genere.

Estratto: Opere di Sigmund Freud (OSF) Vol 5. Il motto di spirito e altri scritti 1905-1908, Torino, Bollati Boringhieri, 2001