Mentre il sillogismo congiungerà sì cose diverse, ma ricavando dal genere qualcosa che in realtà già è in grembo al genere stesso, il “detto acuto” sfora qualunque genere o qualunque specie, riuscendo a realizzare la vera comprensione del medesimo che vive in ciò che è differente, e cioè a scorgere un rapporto di somiglianza tra cose distinte e lontane.[1]
Nelle Istitutiones Oratoriae, sarà argomentata compiutamente l’intera questione della predicazione analogica del detto acuto. In questo scritto viene ribadito che la base su cui poggia il funzionamento del linguaggio fantastico è il procedimento induttivo.
Il filosofo napoletano distingue due tipi di induzione: l’altera partitum, e l’altera similium. La prima può essere annoverata nella concezione tradizionale di induzione logica. Essa consiste nella rubricazione di tratti simili raccolti tra più oggetti, ed essa, – come ricorda la Donatella di Cesare – << offrendo la possibilità di astrarre dalle differenze le qualità comuni, è finalizzata alla costituzione di un genere, di un universale ragionato >>[2].
L’altera partitum, quindi, astraendo dall’oggetto il proprium dell’oggetto stesso al fine di raggiungere lo sgretolamento delle differenze a vantaggio della messa in luce delle qualità (proprietà, attributi, descrizioni) comuni, finisce per costituire un genere nel quale le differenze si diluiscono nell’identità categoriale. Quindi non c’è più l’opposizione-relazione tra identità e differenza.
L’altera similium invece, si basa su un’unica somiglianza; invece della rubricazione dei tratti simili volta alla costituzione di un genere, l’induzione del simile garantisce la “convivenza” e quindi anche l’opposizione-relazione del medesimo e del differente. In essa non si bruciano le differenze, esse non sono astratte dall’oggetto, ma continuano a rimanere in relazione con il medesimo, scongiurando la rigidità delle forme fisse e cristallizzate dell’universale ragionato.
L’induzione analogica (o del simile), avvicina ciò che è lontano, seguendo un “criterio” di somiglianza, il quale fonde ciò che è diverso, senza mai prosciugare la contraddizione tra identità e differenza.
L’esaltazione dell’induzione, sempre nel De Antiquissima, costituisce la prova palese del suo allontanamento, e della sua critica al metodo logico-deduttivo, a quel metodo che potremmo definire oltre che deduttivo anche sillogistico, il quale costruisce una verità statica, conchiusa in un sistema ben recintato da precise premesse argomentative. In un certo qual modo, nell’ambito della conoscenza logico-deduttiva, le premesse stesse dispongono già, sia pure sottobanco, di tutte le possibili verità ottenibili. Queste verità, già albergano nelle premesse stesse. La conoscenza logico-deduttiva, consta esclusivamente di proposizioni analitiche.
[1] Naturalmente, oltre che dal sillogismo, l’induzione analogica, si differenzia anche dal sorite, il quale (come avremo modo di argomentare in seguito): << concatena cause con cause, ciascuna prossima alla sua >>. G.B. Vico, Dell’antichisiima sapienza italica, cit., p. 301.
[2] D. Di Cesare, Dal tropo retorico all’universale fantastico, in Vico e i segni, Berlino, Gunter Narr Verlang Tübingen, 1993, p. 84.