Alcuni autori sostengono l’esistenza di memorie implicite presimboliche e preverbali, ricettacoli di sensazioni, stati somatici, tonalità affettivo-viscerali dissociati da qualunque quadro di riferimento contestuale e difficilmente inseribili in un processo narrativo tout court. Queste memorie rappresenterebbero la base, la tavolozza di colori di partenza, la matrice di fondo del nostro modo di sentire ciò che ci accade intorno. Attribuiamo cioè alle nostre esperienze percettive attuali quella stessa tonalità somatica inscritta nel biologico del nostro corpo a partire dalle primissime esperienze della nostra vita (pre-simboliche, pre-verbali)[i], cioè cerchiamo continuamente delle corrispondenze tra il nostro modello “affettivo-emozionale-somatico” inscritto nel biologico della nostra memoria emozionale e i dati percettivi attuali (pattern matching)[ii].
Questa ipotesi parte dal presupposto che il presente, in modo automatico ed istantaneo (non mediato dal linguaggio, dal significante), possa essere messo a paragone con il passato, con il fine di cercare delle corrispondenze di compatibilità, delle analogie in grado di mettere in moto una catena di associazioni affettivo-somatiche per far fronte al dato sensoriale vissuto nel presente.
I vissuti traumatici possono incidere sulla memoria episodica.[iii] Schacter sottolinea come vivere situazioni molto stressanti per lungo tempo (maltrattamenti, violenze sessuali, guerre…) aumenta significativamente il livello di glucocorticoidi e ciò incide sui processi di memoria, oltre a produrre una vera e propria diminuzione del volume dell’ippocampo. La compromissione del funzionamento dell’ippocampo sembra essere decisiva nei processi di rimozione, se per rimozione intendiamo la non accessibilità al ricordo (in particolare quello traumatico) da parte della coscienza. L’evento traumatico inibirebbe quindi la capacità di rievocare il ricordo coscientemente.
L’ippocampo durante i primi due anni di vita non è del tutto sviluppato e ciò compromette la possibilità di conservare ricordi episodici, il che non significa, è bene sottolinearlo, che non abbiamo ricordi di quei due anni o che le esperienze di quel periodo non incidano sul nostro futuro. Questo vuol dire invece che quei ricordi, prenderanno una forma procedurale (azioni) o addirittura semantica (pensieri ricorrenti), nella forma di abitudini e credenze, invece che nella forma di ricordi espliciti e/o legati a determinati episodi.
Possiamo ipotizzare, seguendo questa ipotesi, una acquisizione “corporale”
del ricordo, nella forma implicita, non cosciente (che non vuol dire inconscia).
Quindi i vissuti di quegli anni sono solo ricostruibili a livello procedurale,
semantico-implicito e non episodico. I ricordi di esperienze particolarmente
traumatiche, addirittura, potrebbero non essersi nemmeno registrati nella
memoria episodica (p.e. se c’è stata una vera e propria atrofizzazione
ippocamapale) e pertanto sarebbero impossibili da recuperare, se non in una
forma molto opacizzata ed imprecisa. Quindi, nonostante i ricordi non siano
persi, essi si destrutturano, cioè, perdono la loro configurazione omogenea, la
loro organizzazione, si frammentano. Ciò accade perché le strutture che
coordinano il recupero dei ricordi in sintonia con la razionalità e la realtà
sono danneggiati. La modalità in cui la memoria a lungo termine è organizzata,
le sue interconnessioni, a livello inconscio, possono essere molto diverse
dalle modalità in cui noi recuperiamo i ricordi a livello conscio. Quindi, il
valore di razionalità o di verità che attribuiamo ai nostri ricordi sembra essere
vincolato alle modalità con cui li recuperiamo in relazione agli obiettivi che
abbiamo finalizzato per la pianificazione e al controllo dell’azione e dei
nostri comportamenti.
Lacan, nel seminario X dice qualcosa di molto
interessante rispetto al ritorno delle tracce insistendo su questo punto: la
legge morale proviene dal reale che quando entra in gioco elide il soggetto
«determinando […] la rimozione»[iv],
tuttavia, il reale, le «tracce», non si cancellano: «non si tratta della
cancellazione delle tracce, ma del ritorno del significante allo stato di
traccia»[v]
[i] Le esperienze (traumatiche) precoci avute in età infantile, anche se non sono coscientemente ricordate, incidono in modo persistente sull’attività psichica, infatti, l’aspetto emozionale di tali traumi, coinvolge l’amigdala che, come è noto, matura prima dell’ippocampo. La diversa maturazione di queste due strutture cerebrali avallerebbe l’ipotesi che vede la memoria implicita formarsi prima di quella esplicita. Le esperienze iniziali si depositano in una memoria arcaica e difficilmente si estinguono, condizionando così tutta la nostra vita. Tale resistenza all’estinzione è dovuta alla specifica organizzazione neurale dell’amigdala, la sua specifica plasticità fa sì che le esperienze emozionali restino impresse in modo indelebile nella (cosiddetta) memoria implicita. Se ipotizziamo che il processo psicoterapeutico sia giocato a livello della neocorteccia, possiamo anche sostenere l’ipotesi che esso sia in grado di modulare i processi emozionali attraverso un’azione sull’amigdala. Un certo fatto, un certo stimolo (interno o esterno), produce una sequenza di modificazioni corporee alle quali corrispondono determinate configurazioni neurali. C’è una trasformazione momentanea a livello organismico che si struttura in una sorta di schema, di mappa autopercettiva. Mappe corporee, configurazioni neurali, sintetizzano risposte che causano o sono alla base di emozioni e poi sentimenti. L’amigdala ricevendo segnali sensoriali proietta a più livelli, è in grado di stabilizzare i ricordi delle esperienze emozionali e incide molto sulla codifica e l’immagazzinamento dei ricordi espliciti ed è coinvolta anche nel consolidamento dei ricordi impliciti propri della memoria emozionale. L’amigdala e l’ippocampo interagiscono anche in relazione alla modulazione dell’attività limbica sottocorticale in riferimento ai processi di memorizzazione, agli effetti dei traumi o stress avuti nella prima infanzia. Quindi essa sembra ricoprire un ruolo fondamentale nella codifica e nella stabilizzazione della memoria emozionale implicita che giocoforza inibisce il ricordo in quanto traccia di ciò che è stato percepito e, allo stesso tempo, ha un ruolo importante nel recupero dei ricordi emozionali. L’emozione è la tendenza sensoriale orientata verso l’interno in grado di fornire informazioni sullo stato corporeo in relazione al mondo esterno. Le emozioni sono cambiamenti del nostro corpo rilevati dalle strutture di monitoraggio somatico, che implicano una interpretazione delle informazioni dal mondo circostante e l’attivazione di meccanismi fisiologici. Le strutture alla base dell’emersione delle emozioni sono le stesse che generano il nostro stato di fondo di coscienza. Il livello di piacere e dispiacere configura la cornice di riferimento nella quale si esperiscono gli stati emozionali. Il dispiacere non va confuso con il dolore, il primo si riferisce ad una tonalità che connota un certo stato emozionale, che si gioca come esperienza interna, il secondo è una sottocategoria di una sensazione somatica causata dall’esterno. Il corpo è dotato di meccanismi omeostatici che assicurano un certo equilibrio dei vai parametri (ossigeno, temperatura, glucosio…). La consapevolezza del nostro corpo è garantita dal sistema muscolo-scheletrico, ovvero il sistema sensomotorio che viene proiettato sulla superficie corticale del prosencefalo fornendo una mappatura del corpo in movimento. Quindi abbiamo diverse mappe del nostro corpo, una di queste la troviamo nel tegmento dorsale e nel tetto del tronco encefalico superiore, qui si avrebbe una prima rappresentazione grezza del proprio corpo ed un composto risultante dalla combinazione del corpo esterno e quello interno, è in questa area cerebrale che andrebbe a costituirsi il Self, ovvero il Simple Egolike Life Form di Panksepp (1985). Panksepp è noto per essere il principale studioso delle neuroscienze affettive che propongono un nuovo punto di vista che vede gli affetti come causati dall’attività delle strutture sottocorticale profonde dei mammiferi. Secondo questo autore (e MacLan) molte sono le ricerche a favore dell’ipotesi che le emozioni sorgono lungo le vie sottocorticali che controllano i processi viscerali, meglio conosciuto come sistema limbico. Panksepp ci propone una definizione del sistema emozionale fondato su dei processi primari (primary-process) del sistema emozionale cerebrale. Pochi stimoli sensoriali possono accedere incondizionatamente al sistema emozionale che può dar luogo ad una reazione istintuale così come può modulare gli input sensoriali. Il sistema emozionale ha un funzionamento a feedback positivo che può sostenere l’eccitazione emotiva nel tempo, inoltre questo sistema emozionale può essere modulato dagli input cognitivi, può modificare e incanalare l’attività cognitiva. Le emozioni dunque hanno origine dalla parte antica del cervello, la parte preverbale.
[ii] Pally R. (2000) Il rapporto mente-cervello. A cura di A. Ruberto, Fioriti, Roma, 2003.
[iii] Ovvero sull’ippocampo. Quando si vive un’esperienza stressante nel corpo, una sequenza di processi portano alla produzione di ormoni steroidei da parte delle ghiandole del surrene, i glucocorticoidi che attivano le risorse energetiche del corpo necessarie per fronteggiare una situazione di stress. Tuttavia un quantitativo troppo massiccio di glucocorticoidi può compromettere il funzionamento dell’ippocampo che contiene un numero particolarmente alto di recettori per questi ormoni.
[iv] Lacan J., Il Seminario, Libro X L’angoscia 1962-1963, op. cit., p. 165.
[v] Ivi, pp. 163-164, continua (p. 164): «L’abolizione del passaggio dalla traccia al significante è quanto ho tentato di farvi sentire attraverso una messa tra parentesi della traccia, una sottolineatura, uno sbarramento, un marchio della traccia. Il significante è ciò che salta con l’intervento del reale, il reale rinvia il soggetto alla traccia e, nello stesso movimento, abolisce pure il soggetto, dato che c’è soggetto unicamente attraverso il significante, attraverso il passaggio al significante. Un significante è ciò che rappresenta il soggetto per un altro significante».