E’ peculiare attività della mente umana, naturale tendenza dell’uomo << dilettarsi dell’uniforme >>. Attraverso le favole il popolo lascia le tracce dei propri costumi. Ma le favole che un popolo si finge non devono assolutamente esser tacciate di falsità. L’esser finzione delle favole, e al medesimo la loro “verità”, esprime l’essenza della concezione vichiana della poesia, quella che Vico sintetizza nella brillante espressione << l’impossibile credibile >>[1] . Il vero poetico è anche << un vero metafisico >>[2] << a petto del quale – ci sbalordisce il Vico – il vero fisico [storico] che non vi si conferma, dee tenersi a luogo di falso >>[3] : è la poesia stessa che istituisce la realtà storica, è questo “vero poetico” che sarà a fondamento anche della realtà storica.
Vico ribadirà l’importanza della favola nella seconda sezione del Libro secondo, cioè nella Logica poetica che rappresenta un altro luogo fondativo della sua concezione filosofica del linguaggio, dove illustrerà chiaramente l’enorme portata conoscitiva che ha la ‘favola’, in quanto principio indagatore dell’ animo dei popoli: “Logica” vien detta dalla voce logos, che prima e propriamente significò “favola”, che si trasportò in italiano “favella” – e la favola da’ greci si disse anco mythos, onde vien à latini “mutus”, – la quale ne’ tempi mutoli nacque mentale, che in un luogo d’oro dice Strabone essere stata innanzi della vocale o sia dell’articolata: onde logos significa e “idea” e “parola”.[4]
Allora nessun ‘capitano di guerra’ sarà tale se non si conformerà al << Goffredo che finge Torquato Tasso >>[5]; e nessuno sarà forte se non sarà un po’ Achille e nessuno sarà saggio se non sarà un po’ Ulisse, i quali per Vico: << significano le diverse spezie o i diversi individui compresi sotto essi generi: tanto che devono avere una significazione, univoca comprendente una ragion comune alle loro spezie o individui (come d’Achille, un’idea di valore comune a tutti i forti; come d’Ulisse, un’idea di prudenza comune a tutti i saggi); talchè sì fatte allegorie debbon essere l’etimologie de’ parlari poetici, che ne dassero le loro origini tutte univoche, come quelle de’ parlari volgari lo sono più spesso analoghe. E ce ne giunse pure la diffinizione d’essa voce “etimologia”, che suona lo stesso che “veriloquium”, siccome essa favola ci fu diffinita “vera narratio” >>[6].
Nelle prime città i soli cittadini erano i nobili, i quali compresero l’importanza e l’utilità di accontentare i “sollevati clienti”, cioè i famoli rivoluzionari. Allora promulgarono la prima legge agraria che vide il mondo, la prima concessione che gli eroi-nobili concessero ai famoli-plebei. Ma nonostante questa concessione, sicurezza e prosperità continuavano a non essere governati ai clienti i quali si sentirono offesi pesantemente: appunto come un de’ quali dice Achille essere stato trattato da Agamennone, il quale gli aveva tolto a torto la sua Briseide, ove dice avergli fatto oltraggio che non si sarebbe fatto ad un giornaliere che non ha niuno diritto di cittadino[7].
Ma poi i famoli invasero la reggia di Ulisse, cioè le città eroiche e presero il comando. S’impossessarono delle terre e pretesero di unirsi secondo nozze solenni che fino ad allora erano tenute segrete alle plebi.
Achille incarna il perfetto anti-filosofo, è sì il massimo eroe dei greci ma è anche e soprattutto il personaggio nel quale si realizzano << tre proprietà dello ‘n tutto contrarie a cotali tre idee de’ filosofi >>[8]: in primo luogo Achille si rifiuta di acconsentire alla richiesta di Ettore che colpito a morte vuole che il suo corpo venga restituito a Priamo << nulla riflettendo all’egualità del grado, nulla alla sorte comune […] le quali inducono gli uomini a riconoscere giustizia >>[9]; in secondo luogo abbandonò il campo di battaglia perché offeso dal fatto che Agamennone gli tolse la sua Briseide, inveì contro gli uomini e gli dèi e preferì ascoltare il proprio orgoglio, la propria offesa privata, e in terzo luogo rischiò di mandare in rovina la nazione stessa per un suo personale problema rallegrandosi addirittura delle stragi << ch’Ettore fa dè suoi greci >> e così calpestò oltre la giustizia anche la gloria ; << D’intorno alla terza [idea dei filosofi], egli nell’inferno, domandato da Ulisse come vi stava volentieri, risponde che vorrebbe più tosto, vivo, essere un vilissimo schiavo >>.[10]
Achille è il “genere” fantastico che raccoglie nel suo “ventre” l’orgoglio, la collera, la violenza, l’arroganza, Ulisse è l’esempio dell’eroica sapienza e la sintesi della tolleranza, della “costumazione”, della furbizia. Questi due nomi sono il “frutto” poetico naturale di una nazione che tutta intera si finge questi caratteri, i quali, generati dal senso comune e, “boria dei dotti” permettendo, si riscontrano in tutte le nazioni, anche se con le dovute differenti sfumature:
<< I quali due caratteri, avendogli formati tutta una nazione, non potevano non fingersi che naturalmente uniformi (nella quale uniformità convenevole al senso comune di tutta una nazione, consiste unicamente il decoro o sia la bellezza e leggiadria d’una favola) >>[11].