Il soggetto, secondo Freud, si difende dal desiderio incestuoso, edipico, quel desiderio inconscio verso cui convergono tutti i desideri coscienti. Questa difesa si realizza attraverso la rimozione, la Verdrängung. Il sognatore del “era morto e non la sapeva”, consapevolmente augura al padre agonizzante la morte per porre fine alle sue sofferenze, ma non è consapevole che questo augurio si origina da un desiderio edipico di morte indirizzato al padre rivale: di chi è il fallo della madre? Di chi è quel posto? È questo un desiderio inconscio dal quale il soggetto si difende e che Freud, attraverso la sua interpretazione del sogno, mette in evidenzia. Lacan, invece, sostiene che il soggetto, non si difende dal desiderio, ma col desiderio. Infatti Freud interpreta il desiderio edipico a partire dalla rivalità fallica col padre, ossia a partire da uno scenario fantasmatico, dove il soggetto si rapporta al rivale come padre ideale, immaginario. È proprio grazie a ciò che il soggetto può ancora credere che, dinnanzi a lui, ci sia l’oggetto fallico, ossia quel padre con il quale è possibile identificarsi. Quindi il padre-rivale immaginario, onnipotente è colui che dice di no, che priva, interdice, frustra. È cioè il padre primitivo di Totem e tabù, iperfallico, superpotente, quell’“almeno-uno” che gode di tutte le donne non essendo sottomesso alla castrazione, alla legge. Il soggetto conserva nell’inconscio, attraverso il voto edipico di morte del padre, quel padre mitico grazie al quale mantiene vivo il suo desiderio di essere il fallo. Infondo è il desiderio edipico di rivalità col padre che consente al soggetto di aggirare in parte la castrazione. Nonostante la castrazione e nonostante la sua rimozione, l’Edipo non esaurisce la sua forza motrice, ponendo il soggetto davanti ad una questione: è sostenibile l’esistenza al di là del desiderio edipico. Il soggetto, in quante mancante d’essere, preso nell’Altro significante, nel linguaggio, nasce simbolicamente proprio perché desidera. Desideri coscienti, inconsci, fantasie ad occhi aperti, oggetti voluti e non posseduti, ambizioni, desideri frustrati: il soggetto non smette mai di desiderare. E se un desiderio fosse soddisfatto? Ne seguirà uno nuovo, come nell’isteria. Attraverso questo eterno tendere alla soddisfazione del desiderio: attraverso il fantasma si perpetua l’inganno. Il fantasma mette il desiderio al cospetto di un oggetto, punta cioè ad un’immagine di perfezione, tende verso quell’immagine primordiale che è l’Io Ideale, ovvero quella completezza dell’essere irrimediabilmente perduta nella quale il soggetto, narcisisticamente, non finisce mai di specchiarsi, di ritrovarsi per poi perdervisi un’altra volta. Coma Narciso che allunga la mano nello specchio dell’acqua per afferrarsi, appena il “tendere verso” lo specchio si infrange e il soggetto fa l’esperienza della scomparsa del desiderio, è qui, che l’esistenza in quanto tale diventa insostenibile. È ciò che emerge con troppa chiarezza quanto la vita è sfiorata dalla morte. Non tanto per la morte in quanto tale, per la dipartita dalla vita, per la fine di essa (infondo chi non ha mai desiderato, almeno una volta, di non esserci, di morire, se non fosse altro per avere un po’ di sollievo): ma è la morte del desiderio che lascia il soggetto con il puro dolore, quel sentimento puro dell’esistenza, indefinita e senza senso, un’esistenza che si estende a perdita di vista.
È quella condizione che Lacan chiama il “reale”, il risveglio nel reale, risveglio privo di quell’immaginario che consente l’inganno, ma che allo stesso tempo rende più sostenibile la vita. Condizione sostenibile solo per pochi istanti, che Lacan chiama, come ricordavo prima, “mé phúnai“, il non essere mai nato. Infondo ciò che si nasconde dietro l’odio verso il Padre è proprio questa accusa: “perché mi ha fatto così tanto debole, meglio sarebbe stato non essere mai nato”.
Diversamente accade per Edipo che eroicamente va fino in fondo, fino al mé phúnai, fino al vero essere-per-la-morte, fino alla sua vera e invisibile sparizione. Per certi aspetti il desiderio di Edipo non ha più niente di “edipico”. È il desiderio che sorge dal “risveglio assoluto” dell’uomo privato della speranza, “senza padre”, senza illusione: Edipo non ha il complesso di Edipo, perché nella sua storia non c’è padre. È questa la condizioni in cui ci troviamo oggi. Il desiderio, diretto verso quell’oggetto che immaginariamente potrebbe riuscire ad appagarlo, è in grado di perpetuare l’inganno che, però, per chi si trova a “vivere” la condizione “dell’essere-per-la-morte”, si mostra per quello che è, ovvero come mancanza radicale, come l’essenza più propria della condizione umana. Il soggetto si difende dal confronto col “padrone assoluto”, la morte, attraverso l’idealizzazione del padre-rivale che gli permette di non interrogarsi sul proprio desiderio.