La prima condizione d’angoscia, dice Freud in Inibizione, sintomo e angoscia[1], è quella della perdita della percezione, che viene assimilata alla perdita dell’oggetto.
L’oggetto, pur rimanendo presente, può diventare cattivo, può perdere l’amore e ciò lo farebbe diventare un nuovo ed ancora più durevole pericolo: una nuova condizione d’angoscia.
Se il dolore è la reazione più naturale
dinanzi alla perdita dell’oggetto, l’angoscia è la reazione al pericolo che
tale perdita comporta. Il dolore, per Freud sorge quando uno stimolo che
colpisce la periferia riesce a far breccia nello scudo che protegge dagli
stimoli e agisce come uno stimolo pulsionale assillante, contro il quale le
azioni muscolari, che in altre condizioni risultano essere efficaci in quanto
sottraggono allo stimolo il luogo stimolato, non hanno alcun potere. Nel dolore
corporeo si realizza un elevato investimento narcisistico delle zone dolenti
del corpo. Questo investimento aumenta costantemente agendo sull’Io in modo
svuotante. Il passaggio dal dolore fisico al dolore psichico è assimilabile
alla trasformazione da un investimento narcisistico a un investimento
oggettuale.
Il lutto, per Freud, si manifesta quando il soggetto
si confronta con la realtà della perdita che esige il distacco dall’oggetto che
non c’è più. Il lutto ha la missione di rendere esecutiva la retrocessione
dall’oggetto in tutte le situazioni in cui questo era stato pesantemente
investimento.
[1] Inibizione, sintomo e angoscia, (in particolare, Inibizione Aggiunte: Angoscia, dolore e lutto, 1925), in OSF, Torino, Bollati Boringhieri, 2000, Vol. 10, pp. 314-17.