È significativo che Freud, in L’Io e l’Es parli della rappresentabilità della morte
nell’inconscio subito dopo aver descritto come sia un essere
superiore, trasformatosi in ideale dell’Io, a minacciare originariamente
l’evirazione, e che sarebbe proprio questa angoscia di evirazione “[…] probabilmente
il nocciolo attorno al quale si è depositata la successiva angoscia morale […]”[1].
Poco dopo aggiunge “[…] l’angoscia di morte pone alla psicoanalisi un
difficile problema poiché la morte è un concetto astratto che ha un contenuto
negativo per il quale non è possibile trovare un elemento inconscio
corrispondente, l’unico meccanismo ipotizzabile per l’angoscia di morte è che
l’Io abbandoni in larga misura il suo investimento libidico narcisistico, ossia
rinunci a sé stesso, così come rinuncia a un altro oggetto quando solitamente è
assalito dall’angoscia.”[2].
Freud sostiene che l’angoscia di morte sia qualcosa
che si colloca fra l’Io e il Super-io, cioè l’angoscia di morte, associata alla
malinconia, è comprensibile solo se si ammette che l’Io rinunci a sé stesso,
perché si sente odiato e perseguitato dal Super-io invece che amato da questo.
Cioè “[…] l’angoscia di morte, al pari dell’angoscia morale, può essere
intesa come una elaborazione dell’angoscia di evirazione.”[3]
L’angoscia nevrotica, associata al senso di colpa, nelle nevrosi, può essere
rafforzata proprio perché si sviluppa “angoscia fra l’Io e il Super-io
(angoscia di evirazione, angoscia morale, angoscia di morte)”.[4]
[1] S. Freud, L’Io e l’Es (1922), in Opere di Sigmund Freud (da questo momento OSF), Torino, Bollati Boringhieri, 2000, (rist. 2006), Vol. 9, 519.
[2] Ibidem.
[3] S. Freud, op. cit, p. 519-520.
[4] Ibidem.