Angoscia di morte (1/17)

È significativo che Freud, in L’Io e l’Es parli della rappresentabilità della morte nell’inconscio subito dopo aver descritto come sia un essere superiore, trasformatosi in ideale dell’Io, a minacciare originariamente l’evirazione, e che sarebbe proprio questa angoscia di evirazione “[…] probabilmente il nocciolo attorno al quale si è depositata la successiva angoscia morale […]”[1]. Poco dopo aggiunge “[…] l’angoscia di morte pone alla psicoanalisi un difficile problema poiché la morte è un concetto astratto che ha un contenuto negativo per il quale non è possibile trovare un elemento inconscio corrispondente, l’unico meccanismo ipotizzabile per l’angoscia di morte è che l’Io abbandoni in larga misura il suo investimento libidico narcisistico, ossia rinunci a sé stesso, così come rinuncia a un altro oggetto quando solitamente è assalito dall’angoscia.”[2]. Freud sostiene che l’angoscia di morte sia qualcosa che si colloca fra l’Io e il Super-io, cioè l’angoscia di morte, associata alla malinconia, è comprensibile solo se si ammette che l’Io rinunci a sé stesso, perché si sente odiato e perseguitato dal Super-io invece che amato da questo. Cioè “[…] l’angoscia di morte, al pari dell’angoscia morale, può essere intesa come una elaborazione dell’angoscia di evirazione.”[3] L’angoscia nevrotica, associata al senso di colpa, nelle nevrosi, può essere rafforzata proprio perché si sviluppa “angoscia fra l’Io e il Super-io (angoscia di evirazione, angoscia morale, angoscia di morte)”.[4]


[1] S. Freud, L’Io e l’Es (1922), in Opere di Sigmund Freud (da questo momento OSF), Torino, Bollati Boringhieri, 2000, (rist. 2006), Vol. 9, 519.

[2] Ibidem.

[3] S. Freud, op. cit, p. 519-520.

[4] Ibidem.