Fonte: Jacques Lacan, Il Seminario – Libro XI – I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi 1964, Enaudi, Torino, 2003, p. 140-141.
Se l’inconscio è ciò che si richiude non appena si è aperto, secondo una pulsazione temporale, se, d’altra parte, la ripetizione non è semplicemente stereotipia della condotta, ma ripetizione rispetto a qualcosa di sempre mancato, vedete sin d’ora che il transfert – così come ci viene rappresentato, come modo di accesso a ciò che si nasconde nell’inconscio – di per se stesso non può essere che una via precaria. Se il transfert non è che ripetizione, esso sarà ripetizione, sempre, dello stesso fiasco. Se il transfert pretende, attraverso tale ripetizione, di restituire la continuità di una storia, lo farà solo facendo risorgere un rapporto che, per sua natura, è sincopato. Vediamo, dunque, che il transfert, come modo operativo, non può accontentarsi di confondersi con l’efficacia della ripetizione, con il ripristino di quanto è occultato nell’inconscio o anche con la catarsi degli elementi inconsci.
Quando vi parlo dell’inconscio come di ciò che appare nella pulsazione temporale, può venirvi in mente l’immagine della nassa che si schiude, in fondo alla quale si realizzerà la pesca del pesce. Secondo la figura della bisaccia, invece, l’inconscio è qualcosa di riservato, di richiuso all’interno, nel quale noi dobbiamo penetrare dal di fuori. Presentandovi questo schema, dunque, rovescio la topologia dell’iconografia tradizionale.
Schema che dovrete fare in modo che si sovrapponga al modello ottico che ho fornito nel mio articolo Nota sulla relazione di Daniel Lagache e che concerne l’io ideale e l’ideale dell’io. Dovrete vederci che è nell’ Altro che il soggetto si costituisce come ideale, che deve regolare la messa a punto di quello che risulta come io, o io ideale – che non è l’ideale dell’io – vale a dire che si deve costituire nella sua realtà immaginaria. Questo schema rende chiaro – lo sottolineo a proposito degli ultimi elementi che ho apportato attorno alla pulsione scopica – che là dove il soggetto si vede, cioè dove si forgia quell’immagine reale e invertita del suo proprio corpo che è data nello schema dell’io, non è là da dove egli si guarda. Ma, certamente, è nello spazio dell’ Altro che egli si vede, ed è in questo spazio anche il punto da dove si guarda. Ora, questo è anche il punto da cui egli parla, poiché, in quanto parla, è nel luogo dell’ Altro che egli comincia a costituire quella menzogna veridica da cui inizia ciò che partecipa del desiderio a livello dell’inconscio.
Il soggetto dobbiamo, dunque, considerarlo rispetto alla nassa – in particolare rispetto al suo orifizio, che costituisce la sua struttura essenziale – come essendo all’interno. L’importante non è quello che vi entra, conformemente alla parola del Vangelo, ma quello che ne esce. Possiamo concepire la chiusura dell’inconscio attraverso l’incidenza di qualcosa che svolge il ruolo di otturatore -l’oggetto a, succhiato, aspirato, nell’orifizio della nassa. Potete disegnare un’immagine simile a quelle grandi bocce in cui si mescolano i numeri da estrarre di una lotteria. Quello che si rimugina, in questa grande roulette, dei primi enunciati dell’ associazione libera, ne esce nell’intervallo in cui l’oggetto non ottura l’orifizio. Questa immagine brutale, elementare, vi permette di ricostruire la funzione costituente del simbolico nella sua contrapposizione reciproca. E il gioco del soggetto, al pari e al dispari del proprio ritrovarsi con quello che li viene a presentificarsi nell’azione effettiva della manovra analitica.