Fonte: Jacques Lacan, Il Seminario – Libro XI – I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi 1964, Enaudi, Torino, 2003, p. 31-33
La faglia dell’inconscio, potremmo dirla pre-ontologica. Ho insistito su questo carattere troppo dimenticato – dimenticato in un modo non privo di significato – della prima emergenza dell’inconscio, che consiste nel non dar adito all’ontologico. Infatti, quello che anzitutto si è mostrato a Freud, agli scopritori, a coloro che hanno fatto i primi passi, quello che si mostra ancora a chiunque nell’ analisi adatti per un momento il proprio sguardo a ciò che è proprio dell’ordine dell’inconscio, è che non è né essere né non-essere, ma è del non-realizzato.
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Si può considerare eccezionale, se non aberrante, quanto, nella cerchia analitica, ai giorni nostri, si collega a quelli che sono stati chiamati – e in modo molto significativo, per sterilizzarli – i fenomeni psi (Ѱ). Allusione alle ricerche di un Servadio, per esempio.
Sicuramente non è in questo senso che ci ha diretto la nostra esperienza. Il risultato della nostra ricerca dell’inconscio va, al contrario, nel senso di una certa essiccazione, di una riduzione a un erbario, il cui campionamento è limitato a un registro divenuto catalogo ragionato, a una classificazione che avrebbe voluto essere naturale. Se nel registro di una psicologia tradizionale si parla volentieri del carattere non padroneggiabile e infinito del desiderio umano – vedendovi il marchio di chissà quale zoccolo divino che. vi avrebbe lasciato l’impronta -, l’esperienza analitica ci permette invece di enunciare la funzione limitata del desiderio. Il desiderio, piti di qualunque altro punto della spanna umana, incontra da qualche parte il suo limite.
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Onticamente, dunque, l’inconscio è l’evasivo – ma noi riusciamo a circoscriverlo in una struttura, una struttura temporale, di cui si può dire che, fino a ora, non era stata mai articolata come tale.