Ingegnosa-mente (parte 3)

Per Vico, anche l’ingegnere è a suo modo poeta! L’ingegno rende l’uomo simile a Dio. L’uomo crea ingegnosamente e lo fa attraverso la finzione. L’uomo si finge un mondo. L’uomo si crea il proprio mondo: fa sé regola dell’universo.

Darsi un significato (fingendosene uno) forse rappresenta quel “di più” rispetto a Heidegger, in quanto, questa donazione di senso (fantastico), che abbraccia anche i << linguaggi impoetici >>, ci garantisce la possibilità di continuare ad utilizzare pragmaticamente i nomi, senza  “affermare troppo” a chi ci ascolta.

La finzione,  che per Vico andrà oltre l’ambito elitario della letteratura strettamente intesa, s’incarnerà anche (e forse soprattutto) nella prassi linguistica della vita quotidiana. Anche la nominazione che si realizza nella prassi quotidiana finirà col non “comunicare” più qualcosa di già dato, già “pre-formato”, ma sarà questa stessa pratica linguistica a dare una forma, un senso, un significato, una regola alle molteplici attività dell’uomo. La parola raggiunge una sua “originaria” autonomia dalla cosa,  diventando denotatrice dell’essenza,  – e come ricorda la Di Cesare – << Se in principio è logos, è perché in principio è la parola [¼] La vera chiave della creazione è la Parola, dabar >>[1]. Dabar, viene tradotta in genere con parola, cosa, fatto, evento, comandamento << Ma quel che è importante rilevare è che dabar indica la parola non solo nel suo contenuto semantico, ma anche nel suo valore pragmatico. Di qui il significato di fatto >>[2]. L’uomo crea attraverso il linguaggio. Ma esiste, per l’uomo, qualcosa fuori dai limiti del (proprio) linguaggio? È ancora plausibile, dopo la nuova scienza vichiana, la cesura tra parola  creata “propriamente” (in Dio) e parola creata “impropriamente” (dall’uomo)? Essendo Dio il creatore della “natura”, si può facilmente concludere che l’uomo è destinato semplicemente a dare i nomi a ciò che già ci è stato dato, a ciò che nasce dal nulla per opera del Sommo Facitore. Certo, la causa prima resta inconoscibile, inafferrabile. Ma si potrebbe chiedere: “Dio”, non è esso stesso un nome? Non è anch’esso un’invenzione-finzione dell’uomo?  Ci risponde P. Ziff: “Essendo Dio stesso un nome esso esiste solo in quanto esso viene nominato. Fuori dalla nominazione esiste solo il “silenzio”, quello nel quale ogni linguaggio muore, e dove non si può neanche più affermare il “Silenzio esiste” o “Dio esiste” [3].


[1] D. DI Cesare, Parola, logos, dabar: linguaggio e verità nella filosofia di Vico, in AA.VV., Vico in Intaglia e in Gemania – Letture e prospettive, a cura di G. Cacciatore e G. Cantillo, Napoli, Bicliopolis, 1993,  p. 272.

[2] Ibidem.

[3] P. Ziff, Itinerari filosofici e linguistici, Bari, Laterza, 1969, p. 87.