Riprendendo il filo del post di ieri, ciò che nel De Antiquissima rimaneva ancora come un quid incontaminato dal fare e dal conoscere, troverà la sua “estrinsecazione” nella poiesis, nella nuova fanta-scienza vichiana. L’uomo, in questa fase del pensiero vichiano, finalmente conoscerà ciò che farà. L’intrinseco, l’inconoscibile, attraverso la finzione fantastica s’incarnerà nelle cose fatte dall’uomo stesso, quindi non solo nella poesia d’autore, ma anche in tutte le altre attività umane. Tutto sarà poesia. L’uomo non andrà più raccogliendo elementi fuori di sé, ma fulmineamente, attraverso la nominazione fantastica, “darà” senso a ciò che un “senso” non ce l’ha. Tutti gli elementi delle cose, attributi di quell’ineffabile quid, potranno essere veramente conosciuti solamente attraverso una scienza che, per l’appunto, non poteva che essere nuova. Nuova, proprio perché la conoscenza umana supera la verità “monogrammatica” e piana, annunciando la possibilità di conoscere anche il “vero divino”. L’uomo non crea più definizioni ma poesia. Solo la poesia riuscirà a donare la quantità giusta (la giusta misura) di ossigeno per garantire alla vita un (o infiniti) senso(i). Un significato le cose non l’avranno più: semmai, ad esse un significato sarò dato, sarà donato. La poesia dispenserà senso a tutto ciò che l’uomo fa. Nella nuova scienza vichiana tutto e tutti saranno attraversati dalla forza travolgente della fantasia. E dunque, in riferimento al paradigma de De Antiquissima, non vi sarà più un mondo finto (quello della sostanza materiale o delle verità astratte o di ragione) contrapposto a un vero, per la semplice ragione che la finzione riverserà la sua ombra anche su ciò che prima ( quello dell’accertamento filologico, o della storia umana) era stato ritenuto immune o refrattario all’assorbenza di questa ombra.