Nel post precedente abbiamo ricordato come nel rimuginio patologico vi sia la convinzione che il rimuginare possa in qualche modo contribuire a risolvere il problema che attanaglia il soggetto. Adesso tenteremo di evidenziare un’altra componente che caratterizzerebbe questo processo mentale: lo “scudo emozionale” (emotional shield). Il soggetto ansioso, tenderebbe a giustificare il proprio rimuginio con la credenza che, preoccuparsi, sia comunque la cosa giusta da fare, poiché è meglio non farsi cogliere impreparati dai guai, particolarmente quando questi sono percepiti come insuperabili. Lo “scudo emozionale” consente il mantenimento di uno stato di semi-allerta (rimuginante), in quanto questo consentirebbe di soffrire di meno, quando poi “finalmente”, la minaccia si tradurrà in qualcosa di reale. In altre parole il rimuginio, seppur non sia realmente utile nella risoluzione dei problemi, tuttavia esso consente in qualche modo di sopportarli meglio.
Il rimuginio è una sorta di strategia che consente di distogliere l’attenzione da preoccupazioni peggiori. Come abbiamo già sottolineato nei post precedenti, sembra che nei soggetti affetti da rimuginio patologico ci sia una quantità di associazioni riferite a previsioni negative maggiore rispetto ai non rimuginatori (Vasey e Borkovec, 1992). Un’altra caratteristica del rimuginatore patologico, oltre a quella di prevedere un numero di disgrazie e sventure superiore rispetto ai non rimuginatori, sarebbe quella di una elevatissima tendenza a rappresentarsi i problemi e disastri ordinati gerarchicamente. La preoccupazione per una prestazione sociale cela in realtà paure ben più radicali (gerarchicamente più elevate) di quelli di fallire l’intera prestazione: essere considerato socialmente incapace in generale, essere emarginato, di essere vittima di danni materiali, di essere ostacolato (mancata promozione, perdita del posto di lavoro ecc.) e perdita degli affetti (stima del partner, crisi di rapporto ecc.). Borkovec et al. (1998) evidenziano che i rimuginatori, sono ossessivamente concentrati sui primi termini della catena di possibili disgrazie anche per scostare l’attenzione dalle paure più catastrofiche e emotivamente più cariche.
Bibliografia
Vasey, M.W. e Borkovec, T.D., (1992). A catastrophizing assessment of worrisome thoughts. Cognitive Therapy and Research, 16, 1-16.
Borkovec, T.D., Ray, W.J., e Stöber, J. (1998). Worry: A cognitive phenomenon intimately linked to affective, physiological, and interpersonal behavioral processes. Cognitive Therapy and Research, 22, 561-576.