Fonte: S. Freud, L’Io e l’Es e altri scritti 1917-1923, Opere di Sigmund Freud, Torino, Bollati Boringhieri, 2000, (rist. 2006) – Vol. 9: 491-520, 1922
[511-512] Si giunge infine alla persuasione che si tratta di un fattore per così dire “moralistico: di un senso di colpa che trova il proprio soddisfacimento nell’essere ammalato, e che non vuol rinunciare alla punizione della sofferenza. Bisogna così arrendersi a questa poco consolante spiegazione. Ma questo senso di colpa è muto per il paziente, non gli dice che egli è colpevole; il paziente si sente colpevole, ma ammalato. Questo senso di colpa si esprime solo come una resistenza, difficilmente riducibile, che si oppone alla guarigione. È anche particolarmente difficile persuadere il paziente che questo è il motivo del suo restar malato: egli si atterrà alla spiegazione più semplice, e cioè che la cura analitica non fa al caso suo, non può aiutarlo (nota: La lotta contro l’ostacolo costituito dal senso di colpa inconscio non è resa facile all’analista. Nulla si può contro di esso in modo diretto; e quanto al modo indiretto si possono soltanto scoprire lentamente gli inconsci fondamenti rimossi di questo sentimento, così da trasformarlo progressivamente in un senso di colpa cosciente si ha una particolare probabilità di influenzamento quando si tratta di un senso di cola inc “preso a prestito”, e cioè del prodotto di un’identificazione con un’altra persona., la quale sia stata oggetto in passato di un investimento erotico. Una tale assunzione su di sé del senso di colpa è spesso l’unico residuo, difficilmente riconoscibile come tale, della relazione amoroso a cui il soggetto a rinunciato. l’analogia fra questo processo e ciò che accade nella malinconia è inequivocabile. Quando è possibile scoprire questo investimento oggettuale passato che si cela dietro il senso di colpa inconscio, il compito terapeutico è spesso brillantemente portato a termine; altrimenti l’esito dello sforzo terapeutico non è in alcun modo assicurato. Esso dipende in primo luogo dall’intensità del senso di colpa, a cui spesso la terapia non riesce a contrapporre una forza dello stesso ordine di grandezza. Ma forse dipende altresì dalla possibilità che la persona dell’analista sia collocata dall’ammalato al posto del suo ideale dell’Io; a ciò si connette per l’analista la tentazione di assumere verso il malato il ruolo di profeta, del salvatore d’anime, del redentore. Ma poiché le regole dell’analisi escludono decisamente una tale utilizzazione della personalità del medico, bisogna onestamente riconoscere che è posta qui una nuova limitazione all’efficacia dell’analisi: la quale non ha certo il compito di rendere impossibili le reazione morbose, ma piuttosto quello di creare per l’Io del malato la libertà di optare per una soluzione o per l’altra.)