Fonte: J. S. Mill, Pagine scelte, Facchi, Milano, 1923, pagg. 33-34 e 44-45
Cosí si pone ora, nelle speculazioni politiche, la tirannia della maggioranza nel novero dei mali contro di cui la società deve premunirsi.
Come le altre tirannie, quella della maggioranza fu dapprima ed è volgarmente ancora temuta, soprattutto in quanto agisce per mezzo degli atti della pubblica autorità. Ma ogni attento osservatore si accorge che, quando la società è essa stessa il tiranno – la società collettivamente, rispetto ai singoli individui che la compongono – i suoi mezzi di tiranneggiare non si restringono agli atti che essa comanda ai suoi funzionari politici. La società può eseguire, ed eseguisce essa stessa, i suoi propri decreti; e, se ne emana di cattivi, o se ne emana a proposito di cose in cui non dovrebbe entrare, essa esercita una tirannia sociale piú formidabile di qualunque oppressione legale; in realtà, se una tal tirannia non dispone di penalità altrettanto gravi, lascia però minor mezzo di sfuggirle; perché penetra ben piú addentro nei particolari della vita ed incatena l’anima stessa.
Per questo, la protezione contro la tirannia del magistrato non basta. E poiché la società ha la tendenza: 1° d’imporre come regole di condotta, con mezzi che non entrano nelle penalità civili, le sue idee e i suoi costumi a quelli che se ne staccano; 2° d’impedire lo sviluppo, e, per quanto è possibile, la formazione di qualunque individualità staccata; 3° di costringere tutti i caratteri a modellarsi sul suo proprio, l’individuo ha il diritto di esser protetto contro tutto questo. C’è un limite all’azione legittima dell’opinione collettiva sull’indipendenza individuale: trovare questo limite e difenderlo contro qualunque usurpazione è indispensabile ad una buona condizione delle cose umane, altrettanto che proteggerci contro il dispotismo politico.
Ma se questa proposizione non è contestabile in termini generali, la questione pratica del dove il limite si debba porre, del come si debbano metter d’accordo la libertà individuale e la sociale sorveglianza, è un argomento sul quale quasi tutto è ancora da fare.
[…]
Supponiamo dunque che il governo non sia che una cosa col popolo, e non pensi in alcun modo ad esercitare alcun potere di coercizione, a meno che non sia d’accordo con quello ch’esso considera la voce del popolo: ebbene, io nego al popolo il diritto di esercitare una tale coercizione, sia da sé, sia per mezzo del suo governo; questo potere di coercizione è illegittimo. Il migliore dei governi non vi ha piú diritto del peggiore; un tal potere è altrettanto ed anche piú dannoso quando lo si esercita d’accordo con l’opinione pubblica, di quando lo si esercita in opposizione ad essa. Se tutta la specie umana, salvo una persona, fosse di un parere, e una persona soltanto fosse del parere contrario, la specie umana non sarebbe per nulla piú giustificabile imponendo silenzio a tale persona di quelle che questa lo sarebbe se, potendo, imponesse silenzio alla specie umana. Se una opinione non fosse che una personale proprietà, e non avesse valore che pel possessore; se l’esser turbati in questo possesso fosse un danno puramente personale, vi sarebbe qualche differenza fra l’essere il danno inflitto a poche persone o a molte. Ma questo vi ha di particolarmente dannoso nell’imporre silenzio alla espressione d’una opinione: che si defrauda la specie, la posterità come la generazione presente, quelli che si allontanano da una tale opinione ancora piú di quelli che la sostengono. Se questa opinione è giusta, sono privati di un mezzo per lasciar l’errore per la verità; se è sbagliata essi perdono un beneficio quasi altrettanto importante: la precisione piú chiara e l’impressione piú viva della verità, prodotta dal suo cozzo con l’errore.