Fonte: Immanuel Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 254-255
Intendo per idea un concetto necessario della ragione, al quale non è dato trovare un oggetto adeguato nei sensi. I nostri concetti puri razionali ora esaminati son dunque idee trascendentali. Essi son concetti della ragion pura; considerano infatti ogni conoscenza sperimentale come determinata da una totalità assoluta di condizioni. Non sono escogitati ad arbitrio, ma dati dalla natura della stessa ragione, e si riferiscono quindi necessariamente all’uso intero dell’intelletto. Essi infine sono trascendenti e sorpassano i limiti di ogni esperienza, nella quale perciò non può presentarsi un oggetto che sia adeguato all’idea trascendentale. Quando si dice idea, si dice molto quanto all’oggetto (come oggetto dell’intelletto puro), ma molto poco quanto al soggetto (cioè rispetto alla sua realtà sotto una condizione empirica); proprio perché essa, come concetto del maximum, non può in concreto esser data mai in modo adeguato. Ora, poiché è proprio questo nel semplice uso speculativo della ragione tutto lo scopo, e l’approssimazione a un concetto, che poi all’atto pratico non può tuttavia esser mai raggiunto, è come mancare in tutto e per tutto di cogliere il concetto, accade che, di un concetto di questa fatta, si dica: non è se non un’idea. Cosi si potrebbe dire: il tutto assoluto di tutti i fenomeni non è se non un’idea; poiché infatti non possiamo mai adombrarlo in un’immagine, esso rimane un problema senza soluzione. Al contrario, poiché nell’uso pratico dell’intelletto si ha da fare soltanto con una esecuzione secondo regole, l’idea della ragion pratica può sempre esser data realmente, se anche solo parzialmente in concreto, anzi essa è la condizione indispensabile di ogni uso pratico della ragione. La sua attuazione è bensì limitata sempre e difettosa, ma dentro limiti non determinabili, e però sotto l’influsso del concetto di una perfezione assoluta. Ond’è che l’idea pratica è sempre altamente feconda e, rispetto alle azioni reali, impreteribilmente necessaria. In essa la ragion pura ha fin la causalità di recare in atto realmente ciò che il suo concetto contiene; e però della saggezza non si può, quasi per dispregio, dire: essa non è se non un’idea; ma, appunto per ciò che essa è l’idea dell’unità necessaria di tutti gli scopi possibili, bisogna che essa serva di regola a tutto ciò che è pratico, a titolo di condizione originaria, almeno restrittiva.
Ora, sebbene noi dei concetti trascendentali della ragione dobbiamo dire che non sono se non idee, tuttavia non avremo in alcun modo a ritenerli superflui e nulli. Se infatti per mezzo di essi nessun oggetto può essere determinato, essi nondimeno possono in fondo, e quasi di nascosto, servire all’intelletto da canone nell’estendere e rendere coerente il suo uso; ond’esso bensì non conosce alcun oggetto più che non lo conoscerebbe coi suoi concetti, ma in questa stessa conoscenza è diretto meglio, e più in là. Per tacere che, probabilmente, esse possono renderci possibile un passaggio dai concetti della natura a quelli morali, e procurare in tal modo alle idee morali stesse una specie di sostegno e un nesso con le conoscenze speculative della ragione.