Fonte: Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XIII, pagg. 869-871
Dobbiamo anzitutto considerare l’idea di causalità e vedere quale ne è l’origine. Non si può infatti ragionare bene, se non s’intende l’idea di cui si ragiona; cosí è impossibile intendere perfettamente un’idea se non si rintraccia l’origine e non si analizza quella prima impressione da cui essa nasce. L’esame dell’impressione dà chiarezza all’idea e l’esame dell’idea dà un’uguale chiarezza a ogni nostro ragionamento. Diamo dunque uno sguardo a due di quegli oggetti che chiamiamo causa ed effetto, e rivolgiamoli da tutti i lati per trovare quell’impressione che produce un’idea d’importanza tanto prodigiosa. Vedo subito che non devo cercarla in nessuna delle particolari qualità, poiché, qualunque di queste io scelga, trovo oggetti che non la possiedono e nondimeno sono chiamati cause ed effetti. Ed invece non esiste nulla nell’oggetto, né esternamente né internamente, che non si possa considerare o come causa o come effetto, sebbene sia evidente che non c’è alcuna qualità che appartenga universalmente a tutte le cose e dia loro diritto a questa denominazione.
L’idea di causalità deve quindi derivare da qualche relazione esistente tra gli oggetti, ed è questa relazione che dobbiamo cercare di scoprire. Trovo in primo luogo che gli oggetti considerati come causa ed effetto sono contigui; e che niente potrebbe agire su altro se tra essi ci fosse il minimo intervallo di tempo e di spazio. Sebbene oggetti distanti possono talora sembrare produttivi l’uno dell’altro, si scopre di solito che sono uniti da una catena di cause contigue tra loro; e anche quando non la possiamo trovare, presumiamo che esista. Dobbiamo dunque considerare il rapporto di contiguità essenziale a quello di causalità, o almeno supporlo tale, fin quando non avremo un’occasione piú propizia per chiarire la questione esaminando quali sono gli oggetti capaci di giustapposizione e di congiungimento.
Il secondo rapporto che io stimo essenziale a quello di causalità non è ammesso da tutti, anzi è controverso, e consiste nella priorità di tempo della causa sull’effetto.
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Ci contenteremo allora di questi due rapporti di contiguità e di successione, come se ci offrissero un’idea completa della causalità? Assolutamente no. Un oggetto può essere contiguo e anteriore a un altro, senza venire considerato come la sua causa. Occorre esaminare il rapporto di connessione necessaria, che ha un’importanza ben maggiore dei due precedenti. Guardo ancora l’oggetto da tutti i lati, per scoprire la natura di questa connessione necessaria e la impressione, o le impressioni, da cui può essermi venuta la sua idea. Scopro subito che il rapporto di causa e di effetto non dipende affatto dalle qualità conosciute degli oggetti. Delle loro relazioni vedo solo quelle di contiguità e di successione, che ho già dichiarato imperfette ed insoddisfacenti. La disperazione mi farà dire che io sono qui in possesso di una idea non preceduta da un’impressione somigliante? Sarebbe una prova troppo grande di leggerezza e di incostanza: il principio contrario è stato già cosí solidamente stabilito da non ammettere dubbi, almeno fino a quando non abbiamo esaminata la presente difficoltà.
Dobbiamo allora procedere come coloro che, cercando una cosa nascosta e non trovandola nel posto sperato, frugano tutt’attorno senza una meta definita, nella speranza che la buona fortuna li guidi. Bisogna abbandonare l’analisi diretta della connessione necessaria, che fa parte della nostra idea di causa ed effetto; e cercare qualche altra questione, di cui l’esame possa giovarsi a chiarire la presente difficoltà. Due sono le questioni che mi accingo a esaminare: I. Per quale ragione diciamonecessario che tutto ciò che ha un cominciamento deve avere una causa? 2. Perché affermiamo che certe cause particolari devono necessariamente, avere certi particolari effetti? Qual è la natura di quest’inferenza, onde passiamo dalle une agli altri, e della credenza che riponiamo in essa?