Fonte: Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVIII, pagg. 507-509
Il Signore è la coscienza che è per sé; ma non piú soltanto il concetto della coscienza per sé, anzi coscienza che è per sé, la quale con sé è mediata da un’altracoscienza, cioè da una coscienza tale, alla cui essenza appartiene di essere sintetizzata con un essere indipendente o con la cosalità [l’essere cosa] in generale. Il signore si rapporta a questi due momenti: a una cosa come tale, all’oggetto, cioè, dell’appetito; e alla coscienza cui è essenziale la cosalità. E mentre egli a) come concetto dell’autocoscienza è immediato rapporto dell’esser-per-sé, pur essendo in pari tempo b) come mediazione o come esser-per-sé che è per sé soltanto mediante un altro, si rapporta a) immediatamente ad ambedue, e b) mediatamente a ciascheduno mediante l’altro. Il signore si rapporta al servo mediatamente attraverso l’indipendente essere, ché proprio a questo è legato il servo; questa è la sua catena, dalla quale egli non poteva astrarre nella lotta; e perciò si mostrò dipendente, avendo egli la sua indipendenza nella cosalità. Ma il signore é la potenza che sovrasta a questo essere; giacché egli mostrò infatti che nella lotta questo essere gli valeva come un negativo. Siccome il signore è la potenza che domina l’essere, mentre questo essere è la potenza che pesa sull’altro individuo, cosí, data questa disposizione sillogistica, il signore ha sotto di sé questo altro individuo. Parimenti, il signore si rapporta alla cosa in guisa mediata, attraverso il servo; anche il servo, in quanto autocoscienza in generale, si riferisce negativamente alla cosa e la toglie; ma per lui la cosa è in pari tempo indipendente; e però, con il suo negarla, non potrà mai distruggerla completamente; il servo può soltanto trasformarla con il suo lavoro. Invece, per tale mediazione il rapporto immediato diviene al signore la pura negazione della cosa stessa: ossia il godimento. Ciò che non riuscí all’appetito, riesce a quest’atto del godere: esaurire la cosa e acquetarsi nel godimento. Non poté riuscire all’appetito per l’indipendenza della cosa; ma il signore che ha introdotto il servo tra la cosa e se stesso, si conchiude cosí con la dipendenza della cosa, e puramente la gode. Peraltro il lato dell’indipendenza della cosa egli lo abbandona al servo che la elabora.
In questi due momenti per il signore si viene attuando il suo esser-riconosciuto da un’altra coscienza; questa infatti si pone in essi momenti come qualcosa di inessenziale; si pone una volta nella elaborazione della cosa, e un’altra volta nella dipendenza di un essere determinato; in entrambi i momenti quella coscienza non può signoreggiare l’essere e arrivare all’assoluta negazione. Qui è dunque presente il momento del riconoscere per cui l’altra coscienza, togliendosi come esser-per-sé, fa ciò stesso che la prima fa verso di lei; ed è similmente presente l’altro momento, che l’operare della seconda coscienza è l’operare proprio della prima; perché ciò che fa il servo è propriamente il fare del signore. A quest’ultimo è soltanto l’esser-per-sé, è soltanto l’essenza; egli è la pura potenza negativa per cui la cosa non è niente; ed è dunque il puro, essenziale operare in questa relazione; il servo peraltro non è un operare puro, sibbene un operare essenziale. Ma al vero e proprio riconoscere manca ancora il momento per il quale il signore fa verso l’altro individuo ciò che fa verso se stesso, e per il quale il servo fa verso di sé ciò che fa verso l’altro. Con ciò si è prodotto un riconoscimento unilaterale e ineguale.
La coscienza inessenziale è quindi per il signore l’oggetto costituente la verità della certezza di se stesso. È chiaro però che tale oggetto non corrisponde al suo concetto; è, anzi, chiaro che proprio là dove il signore ha trovato il suo compimento, gli è divenuta tutt’altra cosa che una coscienza indipendente; non una tale coscienza è per lui, ma piuttosto la coscienza dipendente; egli non è dunque certo dell’esser-per-sé come verità, anzi la sua verità è piuttosto la coscienza inessenziale e l’inessenziale operare di essa medesima.
La verità della coscienza indipendente è, di conseguenza, la coscienza servile. Questa da prima appare bensí fuori di sé e non come la verità dell’autocoscienza. Ma come la signoria mostrò che la propria essenza è l’inverso di ciò che la signoria stessa vuol essere, cosí la servitú, nel proprio compimento, diventerà piuttosto il contrario di ciò ch’essa è immediatamente; essa andrà in se stessa come coscienza riconcentrata in sé, e si volgerà nell’indipendenza vera.