Del complesso di Edipo

Brani antologici Seminario IV: Jacques Lacan, Il seminario. Il libro IV. La relazione d’oggetto, Enaudi, Torino, 2007. La struttura dei miti nell’osservazione della fobia del piccolo Hans

Tutta l’interrogazione freudiana – non solo nella dottrina, ma nell’esperienza del soggetto Freud, rintracciabile nelle confidenze che egli ci fa,m nei suoi sogni, nel progresso del suo pensiero, in tutto ciò che sappiamo della sua vita, delle sue abitudini e persino delle sue attitudini all’interno della famiglia, che Jones ci riferisce in maniera più o meno completa ma certa – tutta l’interrogazione freudiana si riassume in questo: Che cos’è essere un padre? (S4, 205)

Seguendo Freud alla lettera, le questioni che si pone il piccolo Hans riguardano tanto e non soltanto il suo fa pipì, ma il fa pipì degli esseri viventi e specialmente di quelli che sono più grandi di lui. (Ibidem)

Ripropone in seguito la questione al padre, poi si rallegra di aver visto il fa pipì del leone, cosa per niente causale, e da quel momento, vale a dire prima della comparsa della fobia, nota con precisione che se sua madre possedesse quel fa pipì, come lei afferma non senza qualche impudenza, a parer suo si dovrebbe vedere, una sera, in effetti, poco dopo questi interrogativi, la spia mentre si sta spogliando, facendole notare che se ne avesse uno, dovrebbe essere altrettanto grande di quello di un cavallo (S4, 206).

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C’è tutto, compresi i bambini fantasmatici. Di colpo, dopo la nascita della sorellina, egli adotta un’infinità di bambine immaginarie, alle quali fa tutto quello che si può fare ai bambini. Il gioco immaginario è veramente al completo, quasi senza intenzione. (S4, 206)

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Fin dall’inizio dell’osservazione, egli sottolinea che è opportuno separare bene l’angoscia dalla fobia. Se si succedono qui due elementi, non è senza ragione – l’uno viene in soccorso all’altro, l’oggetto fobico viene a ricoprire la sua funzione su sfondo d’angoscia. Ma sul piano imamaginario nulla permette di concepire il salto che faccia uscire il bambino dal suo gioco di esca davanti alla madre. Qualcuno che è tutto o niente, colui che basta o colui che non basta – sicuramente, per il solo fatto che si pone la questione, rimaniamo sul piano della profonda insufficienza. (S4, 207)

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Qui siamo portati a smussare, molto più di quanto non sia comunemente articolato. In effetti, l’aggressività in questione è di quelle che entrano in gioco nella relazione speculare, dove il o io o l’altro, è sempre la molla fondamentale. (Ibidem)

L’unico che potrebbe rispondere in maniera assoluta nella posizione del padre in quanto padre simbolico è colui che potrebbe dire, come il dio del monoteismo: Io sono colui che sono. Ma questa frase che incontriamo nel testo sacro non può essere letteralmente pronunciata da nessuno. Voi mi direte, allora: lei ci ha insegnato che il messaggio che riceviamo è il nostro in forma rovesciata, quindi tutto si risolverò con il tu sei colui che sei. Non credetici, in effetti, chi sono io per dire questo a chiunque esso sia? In altri termini, ciò che voglio indicarvi è che il padre simbolico, propriamente parlando, è impensabile.(S4, 210)

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Basta leggere Totem e tabù tenendo semplicemente gli occhi aperti, per accorgersi che, se non fosse come vi dico, vale a dire un mito, sarebbe assolutamente assurdo. Totem e tabù è fatto per dirci che, perché sussistano dei padri, bisogna che il vero padre, l’unico padre, il padre unico, sia primo della storia, e che sia il padre morto. Ancora di più, che sia il padre ucciso. E, in verità, come si potrebbe pensare questo al di fuori del valore mitico? Per quanto ne so, il padre di cui tratta non è concepito da Freud, né da nessuno, come un essere immortale. Perché bisogna che i figli abbiano in qualche modo ipotizzato la sua morte? E tutto ciò per ottenere che cosa? In fin dei conti per interdire a se stessi ciò che si trattava di portargli via. È stato ucciso solo per dimostrare che non è ammazzabile. (S4, 211).

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L’essenza del dramma principale che Freud introduce riposa su una nozione strettamente mitica, in quando si tratta della categorizzazione stessa di una forma dell’impossibile, ovvero dell’impensabile, vale a dire l’eternizzazione di un unico padre all’origine, le cui caratteristiche sono che sarà stato ucciso, e perché, se non per conservarlo? Vi faccio notare, per inciso, che in francese, e in qualche altra lingua tra cui il tedesco, tuer (uccidere) viene dal latino tutare che vuole dire conservare.(S4, 211)

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È quanto ci permette di affermare, in conformità con l’esperienza, che se l’ideale dell’unione coniugale è monogamico nella donna per le ragioni di cui abbiamo detto in partenza, vale a dire che vuole il fallo tutto per sé, non ci deve stupire – questo è il nostro unico vantaggio – che lo schema di partenza della relazione del bambino con la madre tenda sempre a riprodursi dalla parte dell’uomo. (S4, 214)